Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

mercoledì 29 novembre 2017

Amanda e Jeremy



(Pubblicato nell'antologia "Il tango di Cloe" da "Writer Monkey" Maggio 2018)


 Amanda e Jeremy s'erano incontrati, una mattina di primavera, in una remota  periferia romana dove lui s'era perso e lei gli aveva indicato la strada per tornare indietro. Ma lui indietro, però, non c'era tornato, preda dell'incantesimo istantaneo di quegli occhi da strega: e d'allora non s'erano più lasciati.
Amanda e Jeremy, così indivisibili che i loro nomi, perfino, venivano pronunciati come fossero uno solo, AmandaeJeremy, senza quel piccolo spazio che ne sanciva una loro simbolica individualità.
Lei minuta, occhi grandi nel piccolo viso triangolare, e atteggiamenti da bad girl, ma solo all'apparenza, che dal suo Jeremy, talvolta, ce le buscava, e senza sconti.
Jeremy, fisico da giocatore di rugby e spettacolari capelli rossi, che in virtù di quel colpo di fulmine aveva ripudiato la sua verde Irlanda a favore di quella periferia romana inglobata nel cemento, laddove Amanda gli aveva rubato il cuore.
Un amore burrascoso, quello loro, ma che nessuno dei due aveva mai messo in discussione, anzi, se qualcuno obiettava dubbi sulla liceità dei comportamenti del suo Jeremy, Amanda scattava su come una serpe, gli occhi furiosi nel piccolo viso triangolare, pronta a difendere il suo uomo, e il suo amore, dai paladini del politically correct, perché solo a lei sarebbe aspettato, in ogni caso, il diritto di dolersene.
Ad ogni modo nessuno s'era mai pronunciato, a tal riguardo, con accuse dirette verso Jeremy, che pure piaceva ai condomini, così educato, gentile, sempre pronto ad aiutare.
Un gigante buono, tranne quelle volte che, complice un bicchiere di troppo, si lasciava sopraffare da quella sua bieca emotività.
«E' che lei mi fa proprio incazzare.» Si discolpava, indicando Amanda, senza infingimenti, con aria innocente e con tutti gli accenti sbagliati, che della lingua italiana aveva imparato a pronunciare, in maniera corretta, solo le parolacce.
Che Amanda e Jeremy si amassero, però, era fuori discussione, come attestavano, con un sorriso ironico e colmo di sottintesi, i vicini, testimoni delle esplosioni di rabbia quanto di quelle d'amore.
Che quelli si erano proprio fuochi d'artificio, che un po' di discrezione non sarebbe guastata,
 almeno nel rispetto per chi quelle cose le aveva dimenticate o non gli riusciva più di tentava di farle, e per i bambini, anime senza peccato, che le pareti sono sottili come carta velina, e se si sentono i sospiri figuriamoci gli orgasmi, anche se però è bello sapere che qualcuno ancora pratica l'antica arte dell'amore.
Questo aveva detto, con un sorriso malizioso, l'inquilina ultra ottantenne del piano di sotto, anche lei testimone indiretta, ma attenta, di quelle loro intemperanze amorose: «Di che vi lamentate, bacucchi che non siete altro? Non siete stati giovani anche voi? Memoria corta, a quanto pare. E sono altre le cose di cui lamentarsi, quelle sporche davvero. Lamentatevi di quelle!»
E aveva ragione!
Sono altre le cose sporche di cui recriminare, basta affacciarsi alla finestra e respirare lo smog che annerisce perfino i raggi del sole, soffermare lo sguardo sui palazzoni incolori e il paesaggio di cemento che li circonda, o sull'erba del cortile, stentata e gialla, che mai diventerà verde. Mai germoglierà un fiore.

Amanda porta in giro il suo pancione da par sua, pantaloni a vita bassa e ombelico in evidenza, la gravidanza le ha arrotondato i contorni del viso e addolcito perfino il suo slang romanesco, ma non ha però smesso l'aria da guerriera, quella è nel suo dna, perché non è un atteggiamento ma il suo modo di essere.
Tra un po' nascerà il bambino, e per lui ha già deciso il nome, Patrick, come il nonno di Jeremy e il santo patrono d'Irlanda, dove tra qualche mese si trasferiranno per via del miraggio di un lavoro stabile.
Jeremy, dal giorno che il test della gravidanza è risultato positivo, non ha più toccato un bicchiere di alcunché, e tenuto le mani a posto. D'altro canto Amanda ha imparato a tenere a freno la lingua e, paradossalmente, il non aver sempre l'ultima parola le è valso il diritto di replica che saggiamente esercita, senza troppo strafare, cosciente che quell'equilibrio conquistato va stabilmente mantenuto e consolidato, soprattutto ora che le loro vite stanno davvero cambiando, con quella nascita e quella partenza.
E' bello vederli insieme, lui così alto che un po' deve ingobbirsi per camminare abbracciato a lei, ma è una di quelle cose che più gli piace di loro due, perfino del sesso, perché non c'è niente di più bello che poter aspirare il profumo dei capelli della sua donna e saggiare la fragilità di quel corpo minuto, ma pure così solido, da contenere un bambino, che lui immagina raggomitolato come un gattino all'interno di una cesta.
E questa immagine lo fa sorridere, e allora pure Amanda sorride, senza un vero motivo, per complicità e amore, e gratitudine per tutta quella bellezza che lei non saprebbe raccontare ma che pure sente circondarla. Per quel qualcosa nell'aria che colora d'arcobaleno lo squallore di quello spicchio di mondo lasciato colpevolmente incolto, con una sensazione magnifica come uno stato di grazia, quel suo  pezzetto di casa, e di patria, che porterà con sé in Irlanda, e da cui, ne è sicura, germoglieranno miriadi di fiori.

domenica 26 novembre 2017

martedì 21 novembre 2017

Isabel, scrittrice per amore (cap 2)


 (Pubblicato nell'antologia "Il tango di Cloe" da "Writer Monkey" Maggio 2018)



LUI

Dopo qualche settimana mi giunse uno spettacolare bouquet di rose screziate, accompagnate da un bigliettino: Grazie, Isabel  per aver quel giorno scongiurato la terza guerra mondiale.
Rose screziate, le mie preferite: un semplice caso, oppure, molto più probabilmente, s'era informato sui miei gusti floreali?
Mi era già accaduto altre volte di ricevere ringraziamenti postumi per il mio lavoro, per cui questo rientrava nella norma, così come che i clienti soddisfatti consigliassero la mia agenzia a parenti ed amici in procinto di sposarsi, così quando lui mi contattò per prendere appuntamento per un suo amico intenzionato al grande passo, io non ci trovai nulla di strano.
Ma trovai strano che ad accompagnare il suo amico, invece della futura sposa, fosse lui.
Ad ogni modo, io e il  mio nuovo cliente, facilmente ci accordammo sulle linee guida della cerimonia, fissando un secondo appuntamento per definire i dettagli, questa volta insieme alla sposa.

«Le andrebbe un caffè, Isabel?»
Eravamo rimasti soli, che l'amico, dovendo prendere un aereo, s'era già congedato.

«Come sta la sposina? E la gravidanza, procede bene?»
«A meraviglia, se non fosse per la sciagura di dover prender chili e della necessità conseguente di ritornare al peso forma, dell'allattamento che rovina il seno e delle odiose smagliature che deturpano la pelle, per cui, allo scopo, sono già stati assunti una nutrizionista, un personal trainer e una baby sitter.» Aveva fatto l'elenco delle impellenti necessità della giovane moglie in tono divertito, ma avevo rilevato nella voce una nota d'insofferenza.
«E' ancora così giovane, le dia tempo.» M'ero sentita in dovere di prenderne le difese in nome di una solidarietà femminile che in realtà, verso di lei, non sentivo.
«E' semplicemente molto viziata e molto infantile. Non crescerà mai.» Aveva ribadito sconfortato.
«Non è una buona previsione questa sua. L'aiuti lei a maturare.»
«E' sempre così ottimista, Isabel?» Mi aveva sorriso senza allegria
«Ma allora perché l'ha sposata?»
«Non ho avuto alternativa.» 
«C'è sempre un'alternativa.» 
«Visto che avevo ragione? Lei è un'ottimista e della specie peggiore: quella degli inguaribili.»
...e su questa sua constatazione scoppiamo a ridere.

Iniziò così uno scambio serale di messaggi, piccoli incisi sull'andamento della giornata correlati da brevi riflessioni personali. Niente di intimo, ma quello scambio di pensieri era diventato un piacevole appuntamento, così quando per un paio di sere consecutive non avvenne, constatai, con una qualche
inquietudine, quanto per me fossero diventati, invece, indispensabili, e così quando la sera sul mio cellulare si materializzò il suo messaggio" Isabelmi sono innamorato di te," risposi, "anch'io".

NOI
E fu amore, passionale, travolgente, esclusivo.
Ogni momento libero era finalizzato allo stare insieme, e per questo iniziammo ad inventare pretesti e bugie e alibi, e a costruire una sorta di vita, segreta e parallela, a quella pubblica.
Avevamo affittato una piccola casa in riva a un lago, in un posto sperduto per evitare incontri inopportuni, dove trascorrevamo le giornate senza neppure mai uscire, appagati solo di poter stare insieme, gelosi di quella nostra meravigliosa solitudine, e del racconto intimo che da essa scaturiva.
Ma per essere felice dovevo costringermi ad ignorare la montagna di bugie su cui poggiava la nostra relazione, quel costante dover vivere nell'ombra per poter essere vicini al sole, in quella concertata finzione esistenziale dove pure, in caso di necessità, era contemplata l'abiura.
Niente a che vedere con il limpido, onesto, vittorioso amore dei miei genitori, felicemente esplicitato alla luce del sole ad onta di ogni meschinità intellettuale e societaria.
Loro non avevano mai avuto bisogno di ritrovarsi per ricostruirsi in una vita parallela, perché mai si erano persi né allontanati da quella reale, che di certo non contemplava, neppure in caso estremo, il ripudio.

Eppure le poche, isolate persone, con le quali ci capitò di rapportarci nel nostro status di coppia clandestina, ci percepivano perfetti e indivisibili, e la nostra somiglianza fisica contribuiva a supportare l'idea di una più intima somiglianza spirituale.
E lo era, oh si, lo era, senza ombra di dubbio, all'inizio così è stato, così profondamente compenetrati che niente di mio era ignoto a lui, e viceversa.
Presagivo la sua chiamata l'attimo precedente lo squillo del telefono, anticipavo la disdetta di un nostro appuntamento ancor prima che me lo comunicasse, così come preconizzavo la gioia di un suo arrivo non annunciato.

Ero talmente piena della certezza di quell'amore che non ho mai provato gelosia nei confronti di sua moglie, e mai a tal riguardo gli ho fatto una scenata, né tenuto il broncio, seppur come talvolta capitava accadesse di non poterci vedere per un motivo a lei contingente.
Lei, era la sua vita di facciata.
Io, quella vera.
Per cui, su quella sua vita di facciata, non facevo domande né pressioni: mi bastava averlo nel modo in cui lo avevo. Nel modo appassionato in cui mi desiderava. E la certezza che solo con me così  potesse essere.

Follemente innamorata, respingevo la tentazione delle lacrime e quella dei rimproveri, che pure m'assalivano nei momenti di solitudine, immaginando che per lui, sposato e presto padre, fosse molto più difficile che per me gestire quella nostra storia clandestina, e ancor di più lo sarebbe stato se l'avessi condita con i miei rimbrotti.
In realtà avevo paura di perderlo, ed era questa la ragione dei miei "non ti preoccupare" e "non importa": gli anestetici per le sue ansie, ma non per le mie.

VERSO L'AUTODISTRUZIONE
«Un uomo che ti costringe a vivere nell'ombra non è davvero innamorato, almeno non così tanto da desiderare di riscattare, per te, il sole.»
Mi diceva mio padre, carezzandomi i capelli e asciugandomi con la mano quelle mie lacrime che non sgorgavano, ma che lui vedeva.

Pragmatico, invece, l'avvertimento di mia madre: «non si va lontani, Isabel, se le ruote non convergono nella stessa direzione, prima o poi sarai costretta ad una sosta forzata e consapevolmente dovrai decidere se equilibrare i pneumatici e proseguire il viaggio, oppure considerare la piazzola d'emergenza, dove ti sei fermata, come il tuo approdo finale.»

Più si avvicinava il tempo del parto più diradavano i nostri incontri: inevitabile che così fosse, e il fitto scambio di messaggi serali non colmava il vuoto fisico e il senso di distanza.
Quel vuoto dove io sempre più rimpicciolivo e ingigantiva, solida e consistente, quella che fino ad allora avevo considerato la sua vita di facciata.
Così, per la prima volta dall'inizio della nostra relazione, presi ad immaginare, animandoli, quegli intimi scenari di vita famigliare che fino a quel momento m'ero costretta ad ignorare.
Fu per me devastante.
Iniziai, allora, un silenzioso pedinamento, di cui profondamente mi vergognavo come di un gesto meschino, che insozzava me prima ancora che lui.
Mi ero convinta di dovermi sporcare fin dentro l'anima se volevo uscirne purificata, attraverso l'acquisizione della realtà, da cui avrei tratto le motivazioni e la forza indispensabili per accettare la sua altra vita.
Un tentativo, questo mio, per arginare quel rancore che, nelle sue sempre più frequenti defezioni, sentivo montarmi dentro come un fiume in piena che mi avrebbe travolto.
Ci avrebbe travolti.

Ma non ci riuscii, e mi lasciai sopraffare dall'emotività.
Presi a rinfacciargli, con voce stridula e meschine insinuazioni, la sua risposta tardiva a un mio messaggio o a una mia telefonata; un suo "Isabel, non mi è davvero possibile oggi, raggiungerti" innescava, da parte mia, estenuanti interrogatori a cui all'inizio con pazienza cercava di controbattere ma che poi, raggiunto l'estremo grado di sopportazione, si limitava a chiudere la comunicazione.
I miei approcci divennero allora minacciosi, feroci, ingiuriosi.
Così non rispondeva più alle mie chiamate al cellulare né al fisso, e allora ripresi più intensamente i miei pedinamenti.
Durante uno di questi mi vide e capì ciò che stavo facendo: mai dimenticherò lo stupore, e poi il disprezzo, nel suo sguardo.
Mi vidi con i suoi occhi, sciatta e disperata, appiattita contro il riparo di un muro, mentre avida lo spiavo per alimentare il mio bisogno quotidiano di rancore: un pane che non sazia ma affama.

Fino a quel momento non m'era importato più nulla, né di me stessa, ridotta ormai ad un'ombra ostile, né del mio lavoro, di cui avevo decretato il fallimento, né dei miei genitori, che inutilmente avevano tentato di arginare, con la ragionevolezza, questa mia follia autodistruttiva.
Fino a quel momento non m'era importato più di niente e di nessuno,  prima di quel suo sguardo, stupito e sprezzante, che aveva misurato, per me, la profondità dell'abisso in cui ero precipitata.

VERSO LA GUARIGIONE
Con le ultime forze residue raccolsi ciò che rimaneva di me, accingendomi ad intraprendere un percorso di guarigione tramite la psichiatrica, che mi ha incentivata, attraverso la scrittura terapeutica, a recuperare il senso di me stessa riconvertendo in parole le mie emozioni, per non farmi inghiottire dal loro peso, e ritrovare, tramite il pensiero scritto, quella chiarezza che avevo smarrito.
Aprii un blog che titolai "Isabel, scrittrice per amore": un diario on line in cui avrei raccontato l'amore in tutte le sue sfumature, come quelle luminose della storia d'amore dei miei genitori, a quelle in penombra, come invece era stata la mia. 
Pensieri che hanno trovato eco in tanti altri cuori e rispecchiato altre storie come la mia, che ciò che a noi pare esclusivo si rivela, poi, esperienza comune.
Chi ha vissuto un'intensa storia d'amore non vuole davvero cancellarla, non del tutto almeno.
Si è indotti, quasi sempre su sollecitazioni esterne, a credere di voler dimenticare, ma questo solo per proteggersi dal giudizio del mondo che facilmente rigetta le motivazioni, base e sostanza, delle storie d'amore sbagliate.
Ma esistono amori sbagliati?
No, non esistono. Era questo che mi avevano svelato i racconti nelle mail che ricevevo in grande numero, tante storie diverse ma il cui soggetto era sempre, ed esclusivamente, l'amore. Così, col consenso dei latori delle mail,  ho iniziato a raccontarle per loro.
E poi questa piccola, variegata raccolta, ha destato l'interesse di un editore, trasformandole in un libro di grande successo, un vademecum, una carta planetaria dell'amore, costellata di punti di partenze e nessun punto d'arrivo.

ISABEL, SCRITTRICE PER AMORE
Se nella mia altra vita, con la mia professione di wedding planner, ho contribuito a materializzare il coronamento di tanti sogni d'amore, ora, in questa nuova, mi cimento con le morti e le rinascite, gli inferni e i paradisi, e gli inevitabili purgatori.
E tutto diventa racconto.
 Quel racconto salvifico che aiuta a far luce nel nostro buio interiore.

Ho iniziato a raccontarmi in una lucida autobiografia, correlata ad ogni capitolo da una poesia.
Poesie dedicate a lui, perché non sono ancora guarita da quell'amore, e forse non lo sarò mai del tutto, ma sono però riuscita ad epurarlo dai veleni del rancore e da quelli dell'ossessione, riconducendolo sul piano dell'accettazione, per merito della fredda, salvifica analisi, a cui io, lo confesso, all'inizio del mio percorso ho opposto strenua resistenza, come chi malato da lungo tempo teme la guarigione perché ormai avvezzo a vivere in simbiosi coi sintomi della malattia da cui ha scaturito una sorta di sicurezza, di prevedibilità. Una routine senza la quale si sentirebbe perso.
Estirpando il male avrei anche estirpato la causa che lo aveva generato, ed era a questo che io mi opponevo. Tutta la mia disperazione, ma anche tutto il mio amore, sarebbero stati svuotati del loro solenne senso, ridimensionati nel loro valore, ridotti a semplice parentesi esistenziale: un'abiura.
Ma si può guarire senza doversi rinnegare, nella consapevolezza di se stessi, ritrovando nelle proprie certezze interiori, quell'orgoglio che ci rende liberi dal giudizio morale del mondo, sia esso di condanna o di assoluzione.
Perché la guarigione non è mai un miracolo, ma una conquista.

Ti amo, ma la cosa non ti riguarda.
Sarà questo il titolo della mia prossima raccolta di poesie, ovviamente dedicata a lui.
L'ultima.
...forse.

venerdì 17 novembre 2017

Isabel, scrittrice per amore (cap 1)


(Pubblicato nell'antologia "Il tango di Cloe" da "Writer Monkey" Maggio 2018)


 
Capita che l'amore faccia male, ma senza quel dolore, per alcuni, la vita non ha senso.
...e per continuare a sentire quel dolore, senza cui non avrei potuto vivere, ho iniziato a scrivere.
(Isabel, scrittrice per amore)

LA PERFEZIONE DI UN'AMORE
Mio padre costruiva aquiloni, mia madre, invece, imbullonava auto, sono cresciuta, così, con la certezza che al mondo tutto fosse possibile per amore, rivoluzionare, modificare, reimpostare, visto che per i miei era stato possibile farlo attraverso questo stravolgimento dei ruoli, che lungi dall'esser metafora era vita reale.
Quando tornavo da scuola c'era mio padre intento ai fornelli a prepararmi il pranzo, che il suo lavoro di costruttore di aquiloni lo svolgeva nella mansarda di casa, per essere più vicino al vento, come amava puntualizzare.
Non saremmo di certo sopravvissuti con la sua effimera arte, a cui sopperiva, invece, mia madre, con il suo lauto stipendio di meccanico specializzato.
Questa situazione, ritenuta anomala perché antitetica agli standard societari, (mio padre faceva un non-lavoro e mia madre, invece, un mestiere da uomo) era stata lungamente osteggiata dalle reciproche famiglie, ma poi lei era rimasta incinta e sono nata io, evento che forse ha contribuito a ristabilire una seppur illusoria correttezza dei ruoli, anche se durata solo il breve periodo della gravidanza, perché  poco dopo il parto è tornata a lavorare, affidandomi, per la maggior parte del tempo, alle cure di mio padre che trascorreva ore a saggiare la velocità del vento per collaudare i suoi meravigliosi aquiloni, mentre lei, invece, passava le ore stesa sotto la pancia di un'auto per accertarsi della sua tenuta su strada.
Ad ognuno la propria realizzazione nella certezza della reciproca condivisione: è questo l'amore.

Mio padre e mia madre, così diversi e al primo sguardo incompatibili, insieme erano perfetti, ma non così io e lui, seppure addirittura ci somigliassimo perfino fisicamente, tanto da esser scambiati per parenti, fratelli o cugini, e dare l'idea di possedere non solo lo stesso dna ma anche lo stesso cuore.
E così è stato all'inizio della nostra storia.

Per esigenze di privacy continuerò a chiamarlo "lui" omettendo il suo nome, per rispetto e pudore di quel sentimento che ancora testardamente nutro, e scongiurare una sua, seppur remota identificazione, affinché nessuno possa fargli addebito della mia infelicità.
Sarà questo il mio ultimo atto d'amore.

UNA STORIA SBAGLIATA
Ho respirato amore fin dal primo giorno della mia vita, ed è stato quasi naturale, da adulta, che io diventassi una "wedding planner" pianificatrice di matrimoni, professione che paradossalmente  mi ha catapultata nel mondo del reale, strappandomi all'atmosfera idilliaca nella quale ero cresciuta maturando la distorta convinzione dell'infallibilità dell'amore, e consegnandomi ad una più equilibrata consapevolezza della sua, invece, fragilità, avvallata poi dall'esperienza professionale, che però non è servita a preservarmi dall'infelicità.
Personalmente credo che non sia il sacramento del matrimonio a sancire l'amore, io ho sempre pensato, per quel che mi riguarda, che pur incontrando l'uomo della mia vita non mi sarei mai sposata, o se l'avessi fatto avrei optato per una cerimonia scarna e molto intima, perché conosco troppo bene i retroscena e gli inganni di questa messa in scena per volerla adattare a me stessa, anche se questo non mi ha depotenziata nel mio entusiasmo professionale, che mi è valso notorietà e clientela.
In quest'ambito ho incontrato tante coppie e conosciuto le loro storie, di alcuni mi sono giunti anche i finali, e non tutti degni dei fasti dell'altare, perché l'amore per alcuni è finzione, per altri illusione e per molti un inganno.
Ed è sempre in quest'ambito, e in base a statistiche neppure troppo azzardate, che ho incontrato lui, proprio ad un matrimonio: il suo.
Una storia sbagliata, che mai sarebbe dovuta iniziare, ma quando ci si trova intimamente coinvolti non sempre si riesce lucidamente a riflettere, anche se Dio sa quanto ho tentato di farlo.
Matrimonio anticipato e di gran fretta, che la sposa, già al secondo mese di gravidanza, scalpitava, che se fosse aumentata anche di una sola taglia non avrebbe potuto indossare l'abito dei suoi sogni.
Una sposa molto giovane, molto bella, molto ricca, molto prepotente, di quelle abituate ad avere il mondo ai piedi, a non sentirsi mai dire no, ma alla fine destinate a non avere più alcun desiderio d'avverare, nessun progetto da realizzare. Nessun sogno su cui fantasticare.
Sembrerà strano, ma per lei, viziatissima ragazza, ho provato tenerezza e tristezza, l'ho vista come una reclusa a cui, però, venendo concesso tutto, la si priva della volontà di voler evadere.
Ed eccola, allora, futilmente dispiegare tutte le sue energie al solo fine di poter indossare un principesco abito bianco che non l'avrebbe resa di certo più bella, perché su di lei anche la più semplice delle sottovesti sarebbe stata incantevole.
Un abito che non avrebbe mai più indossato, dimenticato nel fondo di un armadio, sommerso da  una miriade di altri abiti principeschi.
Erano la sposa e la madre, una donna dallo sguardo mansueto sotto la fronte spianata dal lifting,  ad occuparsi, con me, dell'organizzazione della cerimonia e anche del viaggio di nozze, che tutto doveva essere pianificato nei minimi dettagli, così da scongiurare  imprevisti ed avventure, insomma quelle cose che, a parer mio, amplificate nella narrazione con effetti speciali, sarebbero state invece ricordate negli anni futuri con un sorriso, e avrebbero notevolmente arricchito di un'eredità aggiuntiva, figli e nipoti.
A saldare i conti, invece, erano incaricati il padre della sposa, un anziano uomo grintoso, e il futuro marito, un giovane dai modi cordiali: lui.

CONTATTI TELEFONICI

Isabel, non è che il suo albero genealogico vanta parenti texani?
Un'emoji dubbiosa a siglare il suo interrogativo.

Anche lui aveva rilevato la nostra somiglianza fisica: stessi occhi verdi dal taglio allungato, sopracciglia ben distanziate, fronte e zigomi alti, capelli bruni e ribelli, ad incorniciare il viso dai tratti regolari e dalla carnagione chiara.

Le mie origini sono inglesi, Londra, per la precisione. E i miei genitori sono gli unici immigrati della famiglia. Escludo qualsiasi parentela texana.
La mia risposta corredata da uno smile.

Ho un fratello maggiore, ma ho sempre desiderato una sorella. Posso adottarla come tale?
A seguire un piccolo cuore.

Ha la fortuna di avere un fratello, se lo tenga stretto, glielo suggerisce una figlia unica.
Faccina ironica, a chiudere la conversazione.
 

CONTATTI MECCANICI
E forse non ci sarebbe stato seguito se non che il giorno stesso delle nozze, l'auto nuziale, una "Limousine Extra Lusso President", non si riusciva a mettere in moto, e questo aveva scatenato l'isteria della sposa poiché il meccanico di famiglia risultava irraggiungibile al cellulare, e allora sono stata interpellata d'urgenza per trovare un rimedio.
La soluzione l'avevo pronta, in casa, e seppure con qualche fatica convinsi mia madre, ormai in pensione, ad accompagnarmi in veste di meccanico.
Ovviamente la sua apparizione, in tuta da lavoro e cassetta degli attrezzi, aveva destato scetticismo ed imbarazzo, che pur è vero che qualunque sia il secolo in corso riaffiorano sempre gli stessi pregiudizi, ma che lei, la mia incredibile madre, chinata sul motore come un chirurgo sul torace di un cardiopatico, concentrata ad auscultare battiti e vibrazioni per individuare il mancato contatto che generava l'aritmia, aveva spazzato via con un'alzata di sopracciglio, quando il motore, senza neppure un tentennamento, aveva ruggito tutta la sua potenza.
Alla fine, per lei, applausi e strette di mano, per quel duplice miracolo: la messa in moto dell'auto e aver disinnescato la collera della sposa.

martedì 14 novembre 2017

Isabel


Isabel che non dorme mai e passa le sue notti alla tastiera del computer, come fosse a comporre melodie a un pianoforte ma, in realtà, limitandosi a raccontare dei suoi incubi o di quei sogni magnifici, destinati a rimanere desideri.

Isabel, avrei voluto chiamarla in altro modo che già, nello scarno carniere dei miei racconti, una Isabella esiste, (la diabolica bambina protagonista nella storia "Latte")  ma lei fieramente si è opposta: il mio nome è questo e tale rimane! e a questo suo imperativo io non ho più addotto obiezioni, che lei, la Isabel in questione, ha subito fatto mostra di un carattere deciso in contrapposizione ad un aspetto minuto.

 Isabel, dunque, l'ho incontrata nello studio medico dove anch'io ero a far la fila per la prescrizione di un farmaco, possibilmente potente, che mi guarisse dal morbo dell'insonnia, sedute vicine è stato quasi naturale prender chiacchiera, che pure mi aveva colpito questa donna dall'età indefinibile, il cui fisico asciutto, e ben proporzionato, benissimo poteva essere quello di una ragazza, in contrasto con le mani ed il viso che, invece, rivelavano un qualche inganno.
...e gli occhi, di un verde ombroso, velati dalla patina dell'insonnia, che pure scrutavano intorno attenti e senza fretta, con la pazienza tipica di chi è abituato a confrontarsi con l'eternità e non calcola più il tempo sui normali parametri dei secondi, perché l'insonnia, alla fine, diventa stile di vita.

 Sono una scrittrice.
L'ha detto quando la conversazione stava languendo.

Anch'io!
Ho risposto con un sorriso largo e l'entusiasmo nella voce (in verità io non sono una scrittrice intesa nel senso classico del termine, io scrivo in un blog, ma sull'onda dell'eccitazione non ho saputo trattenermi).

Lo so.
Ribatte con un sorriso Isabel.

Lo sai?
Esclamo meravigliata
Come fai a saperlo? Non sono mica famosa, e non ho mai neppure pubblicato nessun libro.
Aggiungo, incredula

Isabel -  Al pari di te, l'unica motivazione per cui scrivo è quella di alleggerire l'anima, e per questo non occorre un editore, poi qualcuno si è interessato ai miei scritti e si è proposto di espanderli, tutto qui il segreto del mio successo, che personalmente non mi sarei mai dannata per la notorietà. A dirla tutta pensavo che nessuno leggesse le mie cose, e che pure ci fosse stato, per me sarebbe stato secondario, che ho sempre scritto per una persona sola, un uomo, che probabilmente non avrà mai letto un mio rigo. Scrittrice per amore, era questa la sola motivazione del mio scrivere, per tentare di penetrare l'indifferenza del suo cuore con la magnificenza della poesia, ma ho fallito nonostante mi sia, invece, giunta la fama, che se ti dico chi sono, il mio nome d'arte, tu davvero stupiresti, ma non te lo dirò, perché in questa mia storia che andrò a raccontarti io voglio essere solo Isabel, e solo come tale raccontata, e solo come tale giudicata.
Io - Perché hai scelto proprio me che non avendo pubblico sarà ancora più difficile che a lui giunga il tuo messaggio?
Isabel - Perché questo racconto sarà solo per me...e forse anche per te, che molto di più, oltre l'insonnia, abbiamo in comune
Io -  Hai già un titolo per questa tua storia?
Isabel - Isabel, scrittrice per amore.

Questa la storia del nostro incontro, mentre quella di "Isabel, scrittrice per amore"...date il tempo a lei di raccontare e a me di scrivere.

domenica 12 novembre 2017

L'amore. L'amore. L'amore.



Cosa stiamo festeggiando?
Chiedo stupita ad Amaranta, dopo aver accolto la sua richiesta perentoria di scendere nell'antro e partecipare anch'io alla festa.

Niente che riguardi singolarmente qualcuno di noi, ma qualcosa che ci riguarda tutti: l'amore.
E la sua voce diventa morbida, così come morbide sono le sue labbra che mi sfiorano la bocca.

L'amore. L'amore. L'amore.
Continua a ripetere ridendo, mentre piroetta con un Iggy stralunato ma felice, inconsapevole della parola amore ma al settimo cielo di essere lui il prescelto per quella giostra vorticosa.

Iggy emette brevi suoni appena percettibili e subito risucchiati all'interno, credo sia il suo modo di ridere o di manifestare entusiasmo, mentre vortica tra le braccia di Amaranta a cui innocentemente s'abbandona con lo sguardo perso dell'innamorato.
Il piccolo serial killer defraudato del suo destino, d'improvviso si ritrova catapultato nel girotondo delle possibilità infinitesimali, di cui tutto ignora e a cui, però, istintivamente ancora il suo primitivo desiderio d'amore.
...amore, anche se solo per un momento corrisposto.

L'amore. L'amore. L'amore.
 Non è la magia a cui tutti aspiriamo? Quel miracolo moltiplicato per l'eternità?
...a quel miracolo a cui un tempo anch'io ho anelato, e in alcuni momenti ho creduto realizzato, ma i cui fallimenti, invece, sono stati i fattori determinanti alle mie complicazioni esistenziali, che se oggi, nell'età matura, ho scoperto benissimo poter sopravvivere senza, decisamente che questa constatazione, solo recentemente acquisita (che la mia ricerca, anzi la mia speranza, nel corso degli anni si è auto alimentata nonostante le mie negative previsioni) m'avrebbe, invece, enormemente giovato nel passato.

Ma queste congetture non cambiano di un'acca il mio presente, quindi tanto vale lasciarsi travolgere dall'entusiasmo del momento, che pure è bello partecipare a questa festa odierna, non programmata, e in onore di nessun'altro che noi stessi, una comunità di orfani rigenerata in virtù di quell'amore che pure un tempo ci è sfuggito, o non abbiamo saputo trattenere.

E tutti partecipiamo, a nostro modo, a questa festa meravigliosa: Lizard/Monnalisa, la lucertolina bionda, con movimenti aggraziati svirgola la sua codina, assecondando il ritmo della musica, mentre Robinson, il topolino naufrago, a pochi passi da lei, timidamente, e poi sempre più sicuro, si esibisce in un canone inverso. Mai stati così vicini, quei due, e così in sintonia, che quella loro è solo un'apparente discordanza armonica, quella stessa degli innamorati che fingono reciproca indifferenza ma che in realtà appassionatamente si desiderano.

L'amore. L'amore. L'amore.
E come evocato da una magia, o dal richiamo del mio cuore, Cagliostro, il mio gattone nero, si materializza sulla soglia, e mi guarda coi suoi occhioni tondi di bambino, incerto se varcare l'uscio o più prudentemente, vista la presenza di Iggy, rimanere sul limite e lasciarsi una via di fuga.
... un impasse che dura solo un breve attimo, perché lo prendo tra le braccia e insieme ci lanciamo nel vortice della festa.

mercoledì 8 novembre 2017

Uno strampalato Olimpo


Rileggendo i miei racconti più vecchi mi sono resa conto, con divertita sorpresa, della presenza costante, e con ruoli di un qualche rilievo, di pennuti di varie specie: un uccello delle tempeste e un gallo orbo ne "L'ISOLA",  un fagiano ammaestrato  ne "LA STORIA DI ANDRES RUBIO", una gallina nevrotica in "UNA STORIA ASSURDA", un'allodola sacra presente in ben due racconti, "ULTIONEM" e "L'UOMO DELLA PIOGGIA" , il superbo pavone di "HEUROPA", e l'ultimo arrivato, il pappagallo Van Gogh ne "IL FIORE DEL MIO GIARDINO"
...e mentre sto scrivendo quest'annotazione sento un pur sommesso frullio d'ali provenire dalle pagine più interne del mio blog, che in questa mattinata di diluvio universale costituiscono l'allegro controcanto al frustrante, monotono scrosciare della pioggia.

A questa piccola, pestifera accozzaglia di umili animali da cortile, (tra cui ascrivo anche il meraviglioso pavone di Heuropa che, nonostante l'aspetto esotico, appartiene alla stessa famiglia degli altri gallinacei) ho affidato ruoli di rilevanza, se non addirittura da protagonista, come è stato per la gallinaccia isterica  di"Una storia assurda", che rocambolescamente ha sfidato la più potente ed invincibile di tutte le creature: La Morte, adempiendo al suo compito, con valoroso eroismo.
...ma in quanto ad acrobatiche peripezie non è da meno l'enorme fagiano addestrato nell'arte del controcanto come in quella del borseggio, compagno di avventure di Andres Rubio, cerusico, sperimentatore ed ipnotista, e del suo compare, il nano Galeno, in una storia a minaccia inquisizione.
..nessuna minaccia, invece, per l'uccellino delle tempeste e il gallo orbo, il cui ruolo di sentinelle su "L'Isola", non comporta altro rischio se non quello del loro innamoramento per Kalifa.
...mentre solo, apparentemente, alcun rischio pare correre il meraviglioso pavone di "Heuropa", che fedele al suo stereotipo si limita a far meravigliosa mostra di sé all'interno di una voliera, seppur questa sua  presenza, anche solo passiva, influirà sul destino finale della protagonista.
...destino che, invece, l'allodola sacra a Santa Lucrina, in felice sinergia con Lucrina, la protagonista che porta lo stesso nome della santa, si realizzerà in maniera benigna, per ripristinare la giustizia a lei negata in "Ultionem". La stessa sacra allodola che, all'opposto, rifiuterà il miracolo della pioggia ai pavidi, opportunisti seguaci di Don Saverio, ne "L'uomo della pioggia", condannandoli, senza possibilità di riscatto, al loro irreversibile destino.
...destino a cui pare miracolosamente esser scampato l'ultimo arrivato, il pappagallo Van Gogh, reduce dalla sua disavventura in "Il fiore del mio giardino", amorevolmente curato da Veronica Sorrentino, che a far da coprotagonista in una storia dove ci s'infila il malanimo, qualche rischio sempre si corre.

...eppoi l'immagine della civetta che magnificamente correla questo mio post, ma di lei non troverete traccia in nessun mio racconto, (non ancora, almeno) che pure un animale così controverso, amato e odiato, malefico o benefico secondo l'ora in cui si mostra, simbolo di sapienza, perché sacro alla dea Atena, o anima nera di strega, è tutto e il contrario di tutto, affascinante metafora di tutte le nostre mai risolte, umane contraddizioni
 ...di certo anche lei meriterebbe un posto di riguardo in questo mio strampalato Olimpo.

domenica 5 novembre 2017

Ritorno al dark

...eppure le ore vuote bisogna riempirle, e qualunque cosa abbia un volume può fare al caso, anche il dolore. Soprattutto il dolore, fra tutti gli stati d'animo, è il più invasivo. L'opzione più facile ed immediata. Quella che subito dentro s'insedia non lasciando posto a null'altro che non alle sue stesse maligne ramificazioni.

Questo dolore indotto è il cilicio col quale espiamo la colpa di esser vivi e il desiderio di non esserlo, che non è un rigettare la vita in senso generale, ma solo la nostra nell'incapacità a poterla cambiare.
...ma togliersela, quella vita, per quanto pesante ed inutile, è davvero difficile, ci vuole il coraggio della disperazione ultima, quella serranda ermeticamente chiusa da cui non trapela più nessuno spiraglio di luce.
Buio assoluto. Sigillato. Insondabile.
Ed è in quel buio che si consuma, con la disperazione, la certezza di aver fallito la propria vita.
...quando non sortiscono più alcun effetto palliativo nemmeno gli inganni psicologici, quelle favole raccontate a noi stessi, nelle lunghe ore di solitudine a cui, nonostante l'enorme sforzo mentale profuso nella cura dei particolari e in quello delle sequenze logiche, non riusciamo più a credere.


Ritorno al dark, al buio della mia remota disperazione esistenziale, che un tempo ha trovato qui il conforto delle parole, ma che oggi, invece, tragicamente muta si rifugia nell'eremo inaccessibile della mia testa, rifiutando, annoiata, l'esternazione e il confronto, di questo inutile, sfinente, controinterrogatorio allo specchio.
Marilena

mercoledì 1 novembre 2017

Le ali di Icaro

Come Icaro progettiamo ali per scalare il cielo, e come lui precipitiamo, invece, negli abissi.