Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

venerdì 23 giugno 2017

La stanza di Ludwig (cap 1)


Non importa l'anno, la stagione e la città in cui si svolge questa storia, che alla fine sono solo dettagli che nulla aggiungerebbero alla trama, così come non hanno importanza neppure i nomi dei protagonisti, (da me ribattezzati con nomi di fantasia) se non fosse per via dell'esigenza immediata del riconoscimento, che non potevo certo scrivere lei lui l'altro, in un modo approssimativo che avrebbe ingenerato confusione.
Così ho scelto i nomi in base alle peculiarità personali, quelle che a me parevano identificative del carattere e della propensione.

...quella sera ero a caccia di stelle, impresa possibile solo ad una sognatrice visto che il mio affaccio confluisce nella finestra della casa di fronte, e il paesaggio che alla vista si dispiega non è quello misterioso della via lattea ma di una tappezzeria presuntuosa, un lampadario monumentale e un pianoforte con sgabello.
Stanza che fino a quella sera avevo immaginato disabitata, con le tende spalancate su un interno vuoto, e invece, con mio grande stupore, nel buio s'è profilata la silhouette di un uomo seduto al pianoforte, le mani in grembo e la testa (una testa possente dai capelli bianchissimi) reclinata sul petto, come stesse dormendo. O riflettendo.
Dopo un lungo tempo l'uomo si è scosso, ha sfiorato con le mani i tasti, si è alzato ed è uscito dalla stanza.

 Cercavo le stelle ed ho trovato un pianeta.
Un mondo abitato laddove immaginavo un deserto.
Questo ho pensato quando la stanza è tornata di nuovo vuota.
Paziente, ho atteso ancora alla finestra un nuovo ingresso dell'uomo, ma non è accaduto.
Così le sere successive.
E già perdevo interesse alla storia quando di nuovo si è replicata la stessa coreografia, ma più nitida, cosicché ho capito che l'uomo seduto con la testa reclinata sul petto non stava affatto dormendo né congetturando, ma fissava il coltello che gli giaceva in grembo. Poi si è alzato, ha  sfiorato i tasti con una carezza sporca di sangue, ed è scomparso oltre la soglia buia.

Mi sono affannata a raccimolare notizie al riguardo del mio misterioso dirimpettaio, ma a quanto pare nessuno lo conosceva e pochi lo avevano visto. Il Maestro (così, con ironia e diffidenza, l'avevano appellato per via del nome difficile e straniero) in quell'appartamento non ci abitava in pianta stabile poiché spesso era in tournée. Nessuna confidenza, non rispondeva neppure ai saluti, forse era sordo o solo arrogante, con la spocchia dei ricchi seppur ricco non doveva essere se abitava in una di  queste nostre topaie, Si mormorava portato sul lastrico da un divorzio sfavorevole, una ex moglie che lo aveva dissanguato, forse quella bruna favolosa, una donna di gran classe che una volta era giunta fin qui a cercarlo.

Di Ludwig, (così chiamerò d'ora in poi il Maestro, per le vere, o presunte, attinenze con Beethoven) quindi, poco o nulla si conosceva, ed io non avevo di certo le credenziali per irrompere nella sua vita ad indagare. Così mi sarei dovuta accontentare dei fotogrammi proiettati all'interno di quella stanza.
Pazientemente mi sarei predisposta all'attesa della visione privata del prossimo spezzone di pellicola.

...e non ho dovuto aspettar poi molto che gli intervalli, tra un tempo e l'altro, erano diventati sempre più brevi, come se il regista, accortosi di me, unica ma attenta spettatrice, accelerasse i tempi del racconto affinché non mi distraessi e perdessi interesse alla trama, ed allora, con un colpo di scena, nella stanza buia ha materializzato l'ombra sottile di una donna, della quale nitidamente intravedevo la schiena nuda, le braccia, le spalle, il collo, e una porzione di viso, che l'altro lato era nascosto dalla cascata scura dei capelli. La donna, che immaginavo bellissima ed elegante, camminava spedita verso il pianoforte dove poi ha incespicato. Ha perso l'equilibrio ed è caduta. Si è rialzata, infine, con le mani premute sulla bocca a reprimere un grido