Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

domenica 29 aprile 2012

Giulietta all'Inferno

UN BREVE, QUANTO NECESSARIO INCISO, PER EVITARE FRAINTENDIMENTI
Perché questo post ha causato fraintendimenti e mi sono pervenute, tramite e-mail, richieste da parte di lettrici sul confezionamento e la somministrazione di misture per i "legamenti d'amore".
Innanzitutto chiedo loro scusa se la mia scrittura le ha indotte in errore anche se, nella finestra dei commenti, spiego l'origine di quei legamenti trovati su Internet e da me poi elaborati e personalizzati, ai fini specifici di questo post.
Premettendo che non c'è mai stata da parte mia alcuna volontà d'inganno perché in questo post a me risulta evidente essere, soprattutto la terza parte, quella riguardante la descrizione del legamento, chiaramente fantasiosa per poter essere scambiata per vera (il rospo bollito e i peli strappati ad un caprone!)
Ma sulla disperazione, e sul dolore, non si scherza, per questo ho deciso di scrivere questo breve inciso, per non indurre in errore nessun'altra.
La storia di Giulietta è vera, il legamento, invece, è fasullo.
(Amaranta - 19 Maggio 2013 )
 GIULIETTA ALL'INFERNO
Verona, 28 Aprile 2012
Cara strega dell'antro ho bisogno di una fattura d'amore perché ho scoperto che mio marito ha una storia che va avanti ormai da un pò, senza interruzioni e senza cedimenti.
All'inizio credevo che fosse solo una infatuazione, una novità temporanea e senza rilievo, che la pazienza ed il mio amore messi alla prova avrebbero comunque vinto, ma ho capito che non è così.
Medita di lasciarmi, aspetta di trovare il coraggio ed il momento opportuno per parlarmene e, se fin'ora non l'ha fatto, è solo perché ha paura che io non sia in grado di accettarlo.
Ed è vero, perché potrei morirne.
Da qualche sera diserta il nostro letto, arriva a casa ad ora sempre più  tarda, si muove in silenzio per non svegliarmi, teme il mio sguardo e le mie domande, così fugge da me, evitando persino il dormirmi accanto.
Io fingo il sonno con la faccia premuta sul cuscino, in modo da nascondere le lacrime.
Non ha nemmeno il coraggio di una carezza misericordiosa, di un gesto solidale, di una parola amichevole.
Non parla, aspetta che sia io a farlo, che perda la pazienza e urli la mia delusione ed il mio rancore per costringerlo a rivelare, finalmente, il suo segreto.
Ma io non lo farò perché non voglio perderlo.
Non voglio che se ne vada, che appartenga ad un'altra.
Pensa pure quello che vuoi, strega, che io sia una donna da poco, appartenente alla categoria di quelle senza dignità, ma ritengo che questa mia richiesta, attinente al tuo campo, e di cui me ne assumo appieno ogni responsabilità, sia assolutamente legittima.
Aiutami, ti prego, che sono disperata.
Giulietta all'Inferno.


 Roma, 29 Aprile 2012
Cara Giulietta non sta a me esprimere alcun tipo di giudizio su questa tua richiesta, per cui avrai il tuo "Legamento d'amore eterno", cosicchè la sua anima sarà indissolubilmente, e per sempre, legata alla tua.
Voglio solo ricordarti che ti stai facendo carico di una responsabilità tremenda perchè lui, una volta realizzato l'incantesimo, sarà assolutamente dipendente da te.
Tu sola sarai  il suo tormento o la sua estasi, la sua saggezza o la sua follia, la sua vita o la sua morte.
E dell'altra non conserverà più memoria.

MAGIA ROSSA - LEGAMENTO D'AMORE INDISSOLUBILE
Il primo Venerdì del mese riempi un' ampolla vergine, e di vetro chiaro, con qualche goccia del tuo sangue mestruale (del terzo giorno del ciclo) quattro foglie di erba della concordia e otto petali di rosa bianca.
Sigilla il tutto e lascia macerare per tre giorni alla luce del sole e a quella della luna.
Accendi nel frattempo due candele, una bianca tonda ed una rossa oblunga, ed aspetta che si consumino.
Con la cera modella una statuina incorporando, nella stessa cera fusa, saliva, sperma, capelli e frammenti d'unghia del tuo uomo, pronunciando la seguente formula:
Tu sei (nome di lui) qui presente
Tu sei (nome di lui) in mio potere
Tu sei (nome di lui) ed io ti tocco.
Munisciti di tre chiodi dorati (meglio se provenienti da un crocefisso) e piantali nella statuina, uno nel petto, uno nella testa ed uno nel ventre, così da inchiodare il suo cuore, i suoi pensieri ed i suoi sensi, e perché non provi mai più sentimento né desiderio per nessun'altra.
Avvolgi la statuina in una seta rossa e legala con un filo di rame per proteggerla dalle nefaste influenze esterne.
Al quarto giorno lega, con un nastro verde, il fantoccino di cera alla zampa di un rospo che andrai ad immergere in un pentola d'acqua dove verserai anche il contenuto dell'ampolla, aggiungendo una ciocca dei tuoi capelli, dieci peli del tuo pube e dieci di quelli di un caprone, recitando col viso sul bordo della pentola in ebollizione, questa invocazione:
Che il buio t'accechi  (nome di lui) se i tuoi occhi guarderanno altra donna, sia essa vergine, vedova, maritata o zitella. Penserai solo a me e di nessun'altra avrai desiderio, conoscerai solo la strada di casa mia o le tue gambe rimarranno legate così come ora sono imprigionate le zampe del rospo, e al pari di lui destinato a consumarti e ad ardere di inenarrabili tormenti, se non ti unirai con me.
Copri poi  la pentola e lascia macerare il contenuto per tre giorni e tre notti, dopo di che il tutto deve essere essiccato in forno e ridotto in una polvere che dovrai somministrargli in piccole dosi sciolte nella sua bevanda, e il rimanente avrai cura di nasconderlo in un medaglione recante la sua immagine, o meglio ancora in uno scapolare, che porterai sul cuore.
E lui sarà tuo per sempre.

martedì 24 aprile 2012

Una conchiglia disabitata

Atmosfere crepuscolari gravano sull'antro.
Molte ombre e poca luce.
Soprattutto noia, e male organizzata.

L'Imperatrice Camilla  mi consiglia, con estrema cautela, di fare più vita sociale (stava per dire mondana, poi si è corretta) e di tirarmi fuori dalle coperte e via dalle scartoffie, di rinnovare il mio guardaroba, e suggerisce un nuovo colore e un nuovo taglio di capelli.
A sentir lei sarebbe una rivoluzione perchè io, da quando mi conosce, non ho mai avuto il coraggio di un vero cambiamento.
Sono troppo abitudinaria, troppo prevedibile: una conchiglia disabitata.
Eh si, questo è il suo pungente ritratto, però......che fantasia!
E non ha neppure tutti i torti.

Va bene, va bene, Imperatrice, cambiamento di look, e poi?
Magari smetto di fumare le sigarette ed inizio la pipa, come nello stile de La Gladiatrice, la mia ultima eroina, seppur lo riconosco non ho il suo fisico nè il suo temperamento.
Lei approva la pipa, dice che mi renderebbe più sofisticata a patto però che attenui, di conseguenza, il mio troppo evidente lato dark.
Una vera trasformazione!
Via gli anelli vescovili, i collarini, i taffettà neri e viola, via il pallore dal volto (ma quello è naturale!), un maquillage più sfumato, un colore più morbido di capelli (qualche meches, se non vuoi tingerli), via la frangia indisciplinata (il mio hijab), piuttosto un taglio sfilzato che mi costringerebbe a frequentare più spesso le coiffeur (lei non dice parrucchiere) .
E basta con il fai da te! M'ingiunge perentoria.
Cerco di vedere, attraverso i suoi occhi, la nuova me stessa e non mi riconosco.
Di tutto l'armamentario da lei proposto salvo soltanto la pipa, forse perchè appartiene alla gladiatrice e, quindi, è come se un pò appartenesse anche a me.
Cosa c'è di più femminile, e raffinato, di quella pipa tra le sue labbra?

Faccio partecipe l'Imperatrice di questa mia visione della femminilità col risultato di farla arrabbiare, lei che ha dovuto limare e contenere la sua prorompente bellezza, quasi un imbarazzo, così carnale e seduttiva, perfino un intralcio in certi contesti, dice che non riesce a capirmi e che sta solo sprecando il suo tempo perchè sono una donna ostinata e refrattaria ad ogni buon consiglio e, per questo, ci rinuncia una volta e per sempre.

domenica 22 aprile 2012

La Gladiatrice



Emerse dal suo fragoroso mal di testa, conseguente alla sbronza entusiasta della sera precedente, ancora straripante dell'ottimismo alcolico che pervadeva il suo sistema venoso.
Sull'onda di questa esaltazione s'accese una sigaretta ben deciso a non smaltire quei positivi residui dell'ubriacatura ma, anzi, ad avvalersene per accendere il mondo del suo stesso fervore.
Al diavolo tutti gli impegni, decise di fruire della persistente euforia per non mandar sprecata quella memorabile giornata poiché tutto, in quel momento, gli sembrava nelle sue possibilità: comporre una romanza, dar vita ad un nuovo innesto floreale, inventare una ricetta di cucina ma, soprattutto, colmare il mondo col fulgore dei suoi sensi.
Sotto l'influsso irresistibile di questo suo concupiscente calore da zingaro si ritrovò a varcare la soglia de" La Piccola Università Del Piacere", dove avrebbe potuto contemplare, a suo agio, le ragazze di Mme Nguyen sedute in circolo, regali e discinte, come bellissime ancelle in attesa di essere scelte, e favorirne la più seducente.
Venne però sedotto da una nera gigantesca, dalle solide fattezze di gladiatrice che, appartata, fumava una pipa, in agguato, come un magnifico predatore, nell'angolo più buio del postribolo.
Con sgomento, e con gioia, se ne invaghì seduta stante.
L'affrancamento di quella splendida creatura dalle catene di Mme Nguyen, la sua rieducazione civica e morale, ecco quella sarebbe stata l'opera meritoria del suo dopo sbronza.
L'avrebbe sedotta parlandole d'amore, immaginando che nessun uomo probo, per via del mestiere da lei praticato, avrebbe mai avuto il coraggio di confessare. 
Ma lui, invece, quel coraggio lo aveva, per cui l'avrebbe emancipata facendo di lei una donna onesta.

«Non deve contrattare nessun prezzo per l'affrancamento» gli aveva risposto serena  Mme Nguyen «Le mie ragazze sono libere di andarsene quando vogliono, e senza obbligo di risarcimento.»

Nell'angolo occulto, dove la gladiatrice fumava pacifica la sua pipa, egli le confessò quell'amore turbolento che, imprevisto, s'era impossessato del suo animo e dei suoi sensi, e sull'onda di questo travolgimento, le proponeva una vita onesta e monogama, perdonandole la vergogna del bordello. Quell'offerta generosa di un riscatto, che lei, ne era certo, avrebbe subitamente accettato con meraviglia ed eterna riconoscenza, come un dono del cielo. Un miracolo, di cui lui sarebbe stato l'artefice. 

Ma lei, dopo averlo ascoltato impassibile, eruppe in una risata divertita e, soffiandogli in volto il fumo della sua pipa, rispose: «in verità mi state offrendo nulla che io già non abbia e null'altro di cui io senta la necessità.»

domenica 15 aprile 2012

Gothica

 L'abitudine di respirare...un'abitudine che non si dismette facilmente e che, nonostante la disperazione esistenziale, mi mantiene attaccata alla vita.

E l'ossessione di essere tumulata ancora viva.
Ma so che quando la morte arriverà io non sarò in grado di contrastarla, e me ne andrò via con quest'ultima tremenda paura.
Sarà una morte solitaria.
Eppure, nonostante questa consapevolezza, quando avverrà sono certa che ne rimarrò ugualmente stupita ed amareggiata.

Possiamo camuffare la nostra vita ma non la nostra morte, perché questa è la fine di ogni mascheramento.
La morte è definitiva, così come lo è la vecchiaia, che prolifera endemica ed impietosa sotto la superficie di noi stessi.
La vecchiaia è la piccola morte progressiva.
E' una larva vorace che scava solchi nella pelle e si nutre di carne viva e pallido sangue.

Quella larva è ben visibile allo specchio e, coprirlo con un drappo donerà solo momentaneo sollievo, come quando si chiude una tenda su un paesaggio devastato.
Si può fingere che dietro i tendaggi non ci sia nulla di spiacevole, così come si può provare a rimuovere l'orrore raccontato dagli specchi, ma questo non arresterà la sua progressione inalterabile, al di là del vetro e dentro lo specchio.

Nello specchio ho visto la larva attaccata al mio viso.
Ho sentito il suo cuore pavido battere sopra il mio occhio sinistro.
Genererà altre larve o basterà solo quell'unica alla devastazione?

Rifletto a voce alta aspettando una risposta che riecheggi nella stanza vuota.
Forse, più correttamente, dovrei scrivere "dalla stanza vuota".

Le piogge ed i venti notturni s'accompagnano a rumori felpati ed insidiosi che il silenzio della stanza esalta, ed acuisce, con eco distorta, mentre i fantasmi graffiano le pareti in perpendicolare, ed il loro respiro gonfia le tende e smorza le stelle.

giovedì 12 aprile 2012

Marguerite Jaune

Incontrai Marguerite Jaune ne La Piccola Università Del Piacere di Mme Nguyen, quando ancora adolescente vi fui portato da mio padre per iniziarmi alle donne e al sesso.
Le ragazze sedevano in circolo, silenziose e composte, come grandi dame, nonostante fossero solo sommariamente vestite, il che accresceva il loro fascino.
Mio padre, con i modi dovuti, mi esortò a vincere la timidezza e scegliere la ragazza che più m'ispirava ma, visto che io non riuscivo a sottrarmi all'imbarazzo, scelse egli per me la più sorridente, una bionda dalla pelle fresca, dai volumi solidi e dall'esotico nome di Marguerite Jaune.
Di quella prima volta ricordo il mio impaccio e la sua sollecitudine, il suo collo sotto la massa tiepida dei capelli, come il solo punto cui i miei occhi, pudicamente, osavano guardare.
Sentivo la sua nudità senza avere l'ardire di scrutarla.
Il mio corpo stesso era inebetito alle mie più vive percezioni sensoriali, cosicché mi vedevo sdoppiato, nudo ed inappropriato, preoccupato solo che lei, così esperta, non s'avvedesse della mia inadeguatezza, cosa di cui, invece, era ben cosciente dal momento che il suo compito consisteva proprio nella mia iniziazione sessuale.
In quel frangente, Marguerite Jaune mostrò tutto il suo valore non avendo fretta di concludere (come spesso avviene) ma indugiando in quel gioco condiviso e di cui ancora non conoscevo bene le regole.
Mi guidò con la dolcezza naturale di un'amante felice.
Mon enfant, così mi appellò all'orecchio quando quel piacere d'adulti, rallentato e poi sollecitato ad arte dalla sua maestria, esplose, gaudioso e liquido, adolescenzialmente tumultuoso, tra le sue cosce.
Fu in quella gloria che Marguerite Jaune venne da me eletta come il primo amore della  mia vita. 
E fu questa la ragione per cui non volli più tornare, nonostante gli incoraggiamenti di mio padre, a La Piccola Università Del Piacere di Mme Nguyen, a completare la mia educazione sessuale perché Marguerite Jaune, mercenaria del sesso, seduta  in circolo fra tutte le altre, non aveva nulla a che vedere con il ricordo di quel mio primo amore.

sabato 7 aprile 2012

Auguri di Buona Pasqua!



Accavallò le gambe e si tirò su la gonna. Si può andare in paradiso anche prima di morire.
(Charles Bukowski - Storie di ordinaria follia)

mercoledì 4 aprile 2012

Una storia assurda


 (Pubblicato nell'antologia "Di incontri e di Racconti"  da "Writer Monkey" Dicembre 2017)



LA MORTE

La Morte era entrata nella stanza e si era seduta, senza chiedere il permesso e senza troppe cerimonie, al capezzale del vecchio.
 Era esattamente corrispondente alla raffigurazione dell'iconografia più classica: intabarrata in un mantello nero, il cappuccio a nasconderle il volto, la falce stretta in una mano e, nell'altra, un rosario.
Si era dunque seduta ed aveva subito iniziato, come da copione, a sciorinare i grani del rosario in attesa di giungere all'ultimo mistero e concludere la sua missione quando, in ultimo, si sarebbe chinata sul morituro e con un bacio misericordioso avrebbe soffiato via, insieme alla vita, anche la sofferenza.
Era stanca, La Morte, ed anche un pò nervosa e decisa a concludere in fretta, pregustando il momento del riposo quando avrebbe passato la staffetta, pardon la falce, alla collega preposta a darle il cambio (che noi sbagliamo ad immaginare La Morte come entità unica perché, in realtà, si tratta di una congrega organizzata con turnazioni ed orari, e non potrebbe essere altrimenti visto la colossale mole di lavoro a cui far fronte).
Il suo sguardo errava dalla pendola  alla finestra, che già la notte schiariva nell'alba, ma non poteva comunque, seppur lo desiderasse, affrettare i tempi, dare un'accelerata e chiudere la storia con un semplice amen.
Occorreva pazientare ancora un po che ben sapeva, per esperienza sul campo, che è sempre meglio accordare quell'attimo in più di vita che ricorrere a metodi brutali o troppo invasivi.
Tutto questo nonostante l'atteggiamento scarsamente collaborativo degli interessati.
La Morte aveva comunque calcolato che l'ultimo grano del rosario avrebbe dovuto corrispondere, presso a poco, al sorgere del primo raggio di sole e subito dopo per il vecchio ci sarebbe stato il black out finale e, per lei, finalmente un po di riposo.

IL VECCHIO
Il vecchio aveva visto La Morte entrare, e benché fosse ormai da lungo tempo allettato, usurato dagli anni più che dai malanni, accolse la sua visita con evidente dispetto, deciso a far finta di niente, ad ignorarla, avallando quel principio che stabilisce essere reale solo ciò che si vede.
Lei, però, era esattamente come l'aveva da sempre immaginata: intabarrata in un mantello nero, il cappuccio a nasconderle il volto, la falce stretta in una mano e, nell'altra, un rosario.
Il vecchio viveva solo, sopravvissuto a tutta la sua stirpe come un relitto centenario, da tempo immemore incagliato in quel letto dove lucidamente, però, s'era industriato di far passare il tempo, e così aveva iniziato ad addomesticare una gallinaccia, goffa ed arruffata, a cui aveva insegnato a covare le uova sul  cuscino, e poi ad infrangerne il guscio, affinché lui potesse nutrirsene.
Il centenario e la gallina  avevano costituito all'inizio l'attrattiva del paese, poi delle regioni limitrofe ed infine di tutto l'universo esplorato.
Una telecamera fissa monitorava, in tempo reale, le esibizioni della stravagante coppia, in un reality in onda sui canali della televisione e in quelli del web.
Così il vecchio era diventato il nonno di tutti e la gallina un animale sacro, al pari delle vacche in India e dei gatti nell'antico Egitto.
Il centenario, quindi, sfacciatamente dava mostra di non aver visto quella lugubre visitatrice che, seduta sulla sedia accanto al suo letto, sciorinava il rosario.

LA GALLINA
Come sua abitudine la gallina aveva fatto irruzione nella stanza con uno scenografico e goffo volo a bassa quota, in uno scompiglio programmato di piume, spinta dalla improcrastinabile urgenza della cova ma, una volta atterrata sul letto, e contravvenendo ad ogni schema prestabilito, si era arrestata, perfettamente immobile, a fissare una sedia che la telecamera inquadrava vuota.
Verrebbe da precisare che mirava la sedia con espressione stupita, semmai fosse possibile, per una gallina, la capacità di una mimica espressiva.
L'entrata spettacolare del pennuto aveva colto di sorpresa La Morte che sonnecchiava sull'interminabile rosario e che, destata di colpo da quell'ingresso imprevisto, era letteralmente sobbalzata dalla sedia, e per colpa dello stupore e della disarticolazione ossea, aveva lasciato cadere a terra il falcetto e la corona del rosario.
Stabiliamo subito, e a sua difesa, che La Morte non ha virtù di preveggenza e possiede cognizione di un solo tempo che è quello del presente e, per l'appunto, i fatti che ne conseguono saranno d'attribuirsi anche a quel suo mancato istinto di divinazione che, se ne avesse avuto virtù, di sicuro la storia avrebbe avuto un epilogo diverso.

LA CONTESA
 La gallina aveva visto cadere a terra la corona del rosario, i cui grani slegati, rotolando, s'erano andati a disperdere ai quattro angoli della stanza.
E già lo stolido pennuto pregustava d'ingozzarsene.
La Morte, intuendone le intenzioni, si precipitò a raccattarli prima che quella ci si avventasse sopra.
Prima di sparare impietosi giudizi, seppur dai fatti conclamati, sulla sua inettitudine maldestra, soffermiamoci obiettivamente a valutare l'increscioso handicap che umiliava le sue mani, con le dita rigide ed i polpastrelli incoerenti, mentre se ne stava prona sul pavimento con la tonaca imbrattata di polvere e il cappuccio sghembo, fuori sincrono e fuori tempo, in affanno, a contendere il terreno ad una gallina nevrotica.

LA ZUFFA
Dal canto suo, la gallina, contravvenendo alla sua mansueta natura di uccello gregario, non mostrava né scrupolo né timore ad avventarsi contro La Morte, eccitata dalle grida d'arena che provenivano dal letto del vecchio che, esaltato dalla prospettiva dell'immortalità, ferocemente sollecitava il pennuto, con blandizie e minacce, a far fuori l'indesiderata intrusa.
Ora che per il vecchio era caduta la finzione del non vedere, la paura della morte s'accompagnava di pari passo con la speranza di riuscire a beffarla.
Quello che la telecamera mostrava era una scena assolutamente folle, perché parziale, dove appariva una gallina infuriata che becchettava invisibili chicchi e s'avventava contro una sedia vuota e aggrediva, furibonda, il pulviscolo dell'aria, sollecitata dell'isteria del vecchio che scalciava nel letto in preda al delirio.

 IL DECIMO RAGGIO DI SOLE
Allo spuntare del decimo raggio di sole (che il primo già da un bel pò era sorto, e quindi tutto avrebbe dovuto già essersi concluso) La Morte aveva raccolto l'ultimo grano del suo rosario e s'era accasciata esausta sulla sedia quando la gallina, con un blitz a sorpresa, glielo aveva scippato e l'attimo successivo inghiottito.
Quel boccone però si era rivelato mortale ed il pennuto ne era rimasto soffocato.
Così, La Morte, si era ritrovata  tra le braccia la carogna esigua di quell'uccello, arruffato e battagliero, da cui avrebbe dovuto recuperare, con un noioso intervento autoptico, il grano del rosario che l'aveva strozzato, tornare di nuovo dal vecchio e concludere il lavoro.
Quella prossima volta, però, sarebbe stato con la telecamera spenta.