Verità apparenti. Verità accertate.
Oliviero Piscopo, con l'ostinazione dell'innocente, andava ripetendo sempre la stessa versione della sua storia, senza cambiarla di una virgola. Sta di fatto che con questo ritorno, seppur negativo, di notorietà vennero rispolverati e ritrasmessi i suoi vecchi film, ed una certa critica chiosò perfino, in tono benevolo, di una piacevole riscoperta delle sue sottovalutate capacità d'attore, cucendogli addosso il ruolo scontato, ma sempre di gran presa, dell' eroe fascinoso e maledetto. Un regista molto famoso, schieratosi dalla parte degli innocentisti, (per convinzione sincera o per calcolo opportunista?) gli propose, qualora fosse uscito da questa brutta storia, la parte di protagonista in un suo film. Così , ecco la faccia di Oliviero Piscopo campeggiare sulle prime pagine dei giornali ed affacciarsi dallo schermo televisivo, e da quello più ampio del cinema. Lettere d'amore e proposte di matrimonio gli piovvero addosso come manna imprevista, ed un avvocatessa di fama, la cui incommensurabile bruttezza era pari solo alla sua straordinaria bravura, gli offrì il suo patrocinio gratuito. Puntando, contro ogni pronostico, all’assoluzione piena per il suo assistito: un’indiscutibile affermazione di se stessa, una intelligente rivalsa per le troppe volte in cui la sua poca avvenenza era stata posta in primo piano a svantaggio del suo immenso talento.
Ma tanto più le luci s'accendevano abbaglianti su questo caso, tanto più Helga si ritirava nell'ombra, totalmente schermata dalla madre che l'aveva resa inaccessibile a chiunque, minacciando querele dal momento che la ragazza era ancora minorenne, ed appellandosi a tutti gli emendamenti, quelli della Giustizia, quelli della Costituzione e quelli, non scritti, della Coscienza.
Helga rappresentava un punto interrogativo anche per il commissario Sangemini, che di donne aveva pure una discreta esperienza, però del genere adulto, ma di adolescenti no, di quelle era assolutamente all'oscuro.
Nulla sapeva della loro vita complicata, umorale e schizzata.
Ed Helga si nascondeva, come un topolino, nel suo pertugio iperprotetto, lontana dai clamori e dai flash, di nuovo preda dell'anoressia e del mutismo claustrale, sorvegliata da quella portentosa madre che imponeva la sua presenza anche durante gli interrogatori.
Donna incredibile, questa Mariana Malavento, che non interferiva né con una parola né con un ragguaglio, ma che, come il commissario Sangemini ben intuiva, era lei a dirigere la scena.
Helga Malavento, invece, priva di trucco e con quella frangia infantile calata sugli occhi, sembrava ancor più giovane dei suoi, appena compiuti, diciassette anni.
Una cosina minuta, da cullare come una bambola stretta al petto.
Una bambina da cavalluccio a dondolo, da vestire con abiti di merletto rosa.
Che aveva da spartire, questa piccolina, col mondo austero della letteratura?
Perché gli era stata data in pasto?
Il grande poeta, Jacopo Imperiale, a secco d'ispirazione, attingeva dalle tettine esigue e dalle gambe esili di questa adolescente gli ultimi striminziti versi di una vena poetica ormai in esaurimento.
Rifletteva così, Guerrino Sangemini, che per gli intellettuali non aveva mai provato grande simpatia, seppur qualche libro lo avesse letto ma che, forse per via del suo carattere e del suo lavoro, era più vicino all'universo dei filosofi e dei matematici, dal momento che la funzione investigativa richiedeva capacità d'analisi e di deduzione.
La verità...cos'è la verità?
Si chiedeva, al momento smarrito, in corsa anche lui, e suo malgrado, su quella rutilante giostra mediatica.
Verità apparenti. Verità accertate.
Vera la storia raccontata da Mariana Malavento, coi toni del rancore ma anche di una genuina disperazione
Vera la storia di Oliviero Piscopo, seppur qui non ci siano testimoni a favore.
Vera anche la storia raccontata al telefono, ed in due parole, dall'anonimo balbuziente, basata su ciò che ha visto o immaginato di vedere.
Vera, infine, la pugnalata mortale che ha ucciso Jacopo Imperiale, e che il commissario Sangemini, se potesse, vorrebbe volentieri poter attribuire, come atto estremo di giustizia, ad Erato, musa della poesia, stufa di esser presa per i fondelli.