Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

mercoledì 16 febbraio 2011

L'insostenibile consapevolezza di essere

...più ci son dentro meglio comprendo i miei limiti, allora vorrei venirne fuori, anzi, non aver mai iniziato, perché alla fine, come sempre accade, mi faccio prendere la mano, esagero e completamente mi spendo, ma in ultimo non sono mai davvero soddisfatta del risultato acquisito.
Ambisco alla perfezione.
A questa recente consapevolezza aggiungo anche quella antica della mutevolezza del mio umore, per cui ciò che il momento prima andava bene nell'attimo successivo è tutto da rifare, col risultato catastrofico che le  istanze perentorie della mia mente affannata non trovano più corrispondenza nelle energie fisiche già abbondantemente spese e, non potendo soddisfare questa ineluttabile necessità, non mi rimane che prender atto dell'ennesimo fallimento da cui, in qualche modo, devo pur riprendermi.
L' insostenibile consapevolezza di essere.
Ricomincio quindi di nuovo ad analizzarmi, promettendomi di cambiare atteggiamento, di non farmi prendere più la mano, di limitare tutto all'essenza di un gioco, leggero e superficiale, da prendersi come viene, propedeutico alla mia esasperata maniacalità per i dettagli, per cui sono capace di sprecare ore nella ricerca ossessiva del tono di un colore o di un aggettivo o di un particolare, e di non smettere finché io non l'abbia scovato e fatto perfettamente aderire, perché nutro il convincimento che, nella pur infinita gamma dei colori, della grammatica e dei dettagli, ne esista solo uno per ogni oggetto e soggetto, quell'unico in grado di definirlo perfettamente.
Rifiuto così i surrogati, le attinenze e gli aggiustamenti.
Preferisco inventare un aggettivo piuttosto che adattarne uno.
Oppure usare un termine palesemente inattinente, un colore stridente, un dettaglio incongruo.
Ad una perfezione ipocrita contrappongo una virtuosa imperfezione.
Marilena

lunedì 14 febbraio 2011

Orsola Guinée (Capitolo 4)


La leggenda è il prodotto di una summa di audaci fantasie che sconfinano nell'irreale, partendo dalla ragionevole, seppur mai materialmente verificata supposizione, che l'irreale sia solo un concetto emotivo.
(Oliver MacNeil - Realtà di una leggenda)

Guinèe, il sovversivo, se ne è andato lasciandole in dono il ricordo del suo ventre affamato e l' identità d'ombra del suo nome, che Orsola s'appresta a trasformare in quello che diventerà il suo leggendario cognome.
Meglio di una fede nuziale, che una volta prosciugato il desiderio si sarebbe, forse, tramutata in catena.
Guinèe ha continuato a visitarla nei sogni ancora per un pò finchè il tempo lo ha relegato tra i ricordi, circoscritto in un angolo notturno del bosco di ceibe e di ebani, a sud di Kourou.
La sua attività in seno a La Piccola Università del Piacere, d'altronde, l'assorbe completamente lasciando poco spazio  alle fisime ed ai rimpianti per ciò che non si è realizzato, dando ragione a  Mme Nguyen quando, parlando della morte che l'ha risparmiata, è solita dire che quel che non è stato è perchè non doveva essere.
Congetturare sulle ipotesi è passatempo per  benestanti e per romanzieri. Aggiungerebbe Himako, che seppur qualche tentennamento nella sua vita lo ha avuto, non ha mai mostrato pentimento.
La vita si basa non sulle ipotesi, ma su ciò che è alla nostra concreta portata. Questa la tesi probatoria di Priscila, che alla sua concreta portata, un giorno, ha trovato un ferro da calza col quale ripristinare la giustizia.
E sull'azione, indispensabile per l'affermazione riconosciuta di quel che realmente siamo. Concluderebbe Alizèe che, in ottemperanza di questo principio, ha rinnegato il  suo nome ed il suo casato.
Affermazioni, queste de" les filese de Mme Nguyen", che sono stralci autobiografici e non acquisizioni di teorie umaniste o iniziatiche, o di tutte quelle astruserie filosofiche indirizzate verso la cognizione e l'esistenzialismo, materia per le pompose, quanto astratte, discussioni dei filosofi e degli ecclesiasti. Divertissement.
Ésta es vida real! Esclama Priscila mostrandoci le sue cicatrici.
Nessuna di queste donne conosce una vita diversa da quella reale, e di certo anche loro avrebbero diritto, per una regola di giustizia, a covare un sogno personale, seppur piccolo. Seppur segreto.
E torniamo ancora ad interrogarci su ciò che è giusto e su ciò che non lo è, come ai tempi del Grande Circo Planetario, quando sul banco degli imputati c'era la morale.
Cambiano i personaggi e le ambientazioni ma gli interrogativi universali permangono invariati, senza risposta o con l'ingombro di troppe.
Constatiamo però, con un sorriso, che la giustizia per affermarsi non disdegna strumenti eccentrici quali una sfera da chiromante o un ferro da calza, e seppur traspare evidente una sua difficoltà ad emergere, non dobbiamo disconoscerle l'ostinazione a voler essere lei ad avere l'ultima parola.
Anche se, talvolta, l'ultima parola non è quella che chiude definitivamente il capitolo.

Mme Nguyen ha ricevuto la soffiata dell'imminente arresto di Orsola, accusata di complicità nella fuga di Blaise Marchand, soprannominato Guinèe, l'eversivo condannato all'ergastolo per aver partecipato al complotto per assassinare l'imperatore Napoleone III
Fuggi. Le ha detto mettendole in mano un gruzzolo sostanzioso e, al collo, la protezione dello scapolare de la  Santa Virgo Madre de los Afligidos.
 Mi ha aiutato a vedere...seppur con un occhio solo. Aiuterà anche te.
La notizia della sua fuga si è sparsa, alimentata, ad arte, dalla stessa Mme Nguyen, che l'ha rivestita di leggenda e trasformata in pagina di romanzo.
Quando i gendarmi hanno fatto irruzione ne La Piccola Università del Piacere, mettendola a soqquadro e creando scompiglio tra gli ospiti, ma anche minaccioso risentimento tra quelli che vantano titoli e credenziali, Orsola è ancora lì, travestita in abiti maschili, con una benda su un occhio, intenta a fumare una pipa d'oppio e resa invisibile ai gendarmi dallo scapolare miracoloso de la Santa Virgo Madre de los Afligidos, a cui lei è devota.
Questa la versione fantastica di Mme Nguyen.
In realtà Orsola è fuggita prima dell'irruzione della polizia e quel marinaio dall'occhio bendato che fumava impassibile una pipa d'oppio...quello c'era davvero, perso nell'oblio della droga da non rendersi conto di ciò che stava accadendo.

Preceduta dalla sua leggenda, Orsola, è di nuovo in fuga, questa volta sulle vie d'acqua dove è più agevole far perdere le proprie tracce ed il proprio odore.
Il primo rifugio abusivo lo trova sulla "Maryflower", una carboniera diretta verso il Cile: in alto mare Orsola si palesa al capitano, lo seduce e lo conquista alla sua causa.
Oliver MacNeil è uno scozzese rosso di capelli e di temperamento, audace e fantasioso, amante delle donne, delle armi e della letteratura. Scrittore, egli stesso, di romanzi a soggetto marinaro.
Lui le narra Shakespeare e Dante mentre l'addestra sull'uso del moschetto.
Lei contraccambia svelandogli i segreti reconditi del sesso e quelli più sottili dell'estasi.
Uno scambio proficuo per entrambi, ben consapevoli che quest'appassionata, ma transitoria relazione consumata in contumacia, terminerà quando la carboniera farà scalo in  Cile, perché sarebbe un azzardo troppo rischioso, per Orsola, rimanere a  bordo della "Maryflower".
Sarà proprio Oliver a trovarle il passaggio successivo su un vascello amico, diretto a Buenos Aires, e sarà ancora sua l'idea letteraria che, anziché occultare, farla circolare la voce, in sottofondo e negli ambienti giusti, della sua presenza a bordo, in modo da permettere ad Orsola di continuare ad esercitare la sua arte, e pagarsi le spese di viaggio.
 Così la "Maryflower" è solo la prima di una serie infinita, quanto variegata, d'imbarcazioni sulle quali trova rifugio negli anni dell'esilio sull'Atlantico: brigantini e mistici, bombarde e galeoni, mercantili e clipper.
Le cronache dell'epoca ci raccontano che ad ogni porto in cui fa scalo c'è già un legno che l'attende, pronto a salpare appena lei è a bordo.
E file di passeggeri danarosi, molti dei quali illustri, disposti a sborsare cifre da capogiro per un posto sulla nave in cui è segnalata la sua presenza e, di costoro, l'ultimo della serie è proprio l'Ambasciatore del Panama a Lisbona, del quale abbiamo fatto la conoscenza nel primo capitolo, colto nella quiete del sonno, con la bocca socchiusa sul capezzolo sinistro di Orsola e le braccia solidamente avvinghiate ai suoi fianchi, come un naufrago abbarbicato alla sua zattera.
Ma quella di Orsola è una zattera nomade che rifugge gli attracchi e la riva, e rifiuta timoni e timonieri, cosicché gli ospiti che raccoglie a bordo non possono permanere oltre il tempo da lei stabilito.
Neppure questa eccellenza, che le regole una volta fissate devono valere in egual modo per tutti, così come democraticamente avrebbe decretato Mme Nguyen.
L'ambasciatore, che si è volontariamente imbarcato su questa goletta scalcinata che svogliatamente asseconda le onde beccheggiando sbilenca su un mare assolutamente piatto, al pari di tutti gli altri non potrà sostare a suo piacimento nell'alcova di spuma e di sale di Orsola, e a nulla varranno le suppliche, le minacce o le lusinghe perché, laddove non arriverà il convincimento delle parole, di sicuro, arriverà quello del moschetto.

venerdì 4 febbraio 2011

Orsola Guinée (Capitolo 3)


L'harmattan, il vento di fuliggine che spira dal Sahara, si è levato provvidenziale ad oscurare il giorno ed occultare ogni traccia di Orsola in fuga dal frustino di Garras, e da un destino programmato.
 Avvolta nello scialle di Persia di Madame Malia corre senza mai voltarsi indietro, mettendo attenzione a schivare gli inciampi che potrebbero fermare quella sua corsa forsennata che terminerà solo quando l'harmattan smetterà di soffiare e diraderà la nebbia fitta delle sue polveri.

A distanza di anni ritroviamo Orsola, ormai donna emancipata, nel bordello di Mme Nguyen, sulla cui porta azzurra campeggia una scritta amanuense che la designa come La Piccola Università' Del Piacere, il bordello più famoso de la Guyane, situato nel villaggio di Paradise, avamposto colonico nell'entroterra di Cayenne, a pochi chilometri a nord dall'Isola del Diavolo.
Sul confine di quella sottile striscia di terra che separa il Paradiso dall'Inferno.
Attira, La Piccola Università Del Piacere, diretta da Mme Nguyen, clienti di ogni risma, uomini e donne provenienti dai luoghi più disparati, tutti danarosi e ben disposti a spendere, allettati dalla prospettiva della condivisione del sapere femminino applicato alla ricerca ed alla sperimentazione nelle materie del sesso, perchè "Les Filles de Mme Nguyen" sono tutte esperte e nessuna novizia: è la prerogativa della casa.
Più la ragazza è esperta più costa la sua compagnia.
Bandite le vergini, si accettano solo professioniste con curriculum sostanziosi di  esperienze.
Qui si viene solo per imparare.
Questo redarguisce  il motto della casa.
E questo è  il segreto della fortuna di Tante Aisha, (così  le ragazze chiamano Mme Nguyen) una mulatta matronale, di provenienza incerta, caparbiamente scampata ad una febbre corrosiva che l'ha lasciata butterata nella pelle e cieca ad un occhio, ma incredibilmente lucida di mente
Orsola, fornita dell' esperienza necessaria maturata in virtù dei suoi trascorsi in seno al Grande Circo Planetario, ha modo ulteriore di affinare e raffinare le sue arti all'interno dell'Università del Piacere, dove vi prestano meritoria opera, femminili eccellenze di ogni nazionalità, come la giapponese Himako, in fuga da un destino passivo di geisha che insegna gli antichi segreti dell'estasi prolungata, o la francese Alizèe, che ha abdicato allo stemma nobiliare e alle catene di un matrimonio imposto, per realizzarsi come autorità indiscussa nel campo dell'erotismo saffico, o la dominicana Priscila che reca sul corpo la terribile geografia delle cicatrici e dei soprusi subiti, per proporsi come la massima esperta nel gioco del frustino e del bavaglio.
Queste donne, come tutte quelle che animano la Piccola Università del Piacere, trovano qui le motivazioni di un riscatto, non certo quelle di una vendetta.
Tante Aisha le tratta tutte con lo stesso affetto parsimonioso, e con doveroso riguardo alla salute ed ai sentimenti di ognuna.
Nessuna ai suoi occhi è  migliore della altre.
Tutte indispensabili e tutte degne di merito.
E  libere di andarsene, con una generosa buonuscita, quando decidono che sia giunto il momento.

E' notte fonda quando Orsola sgattaiola furtiva dal portone azzurro della casa di Mme Nguyen per inoltrarsi nel labirinto inestricabile di alberi e cespugli della boscaglia, solo parzialmente esplorata, che costeggia la carretera che si diparte da Paradise per biforcarsi a nord verso l'Isola del Diavolo e a sud verso Kourou.
Ed e' a sud che Orsola si dirige.
Inciampa e si rialza, lungo il tragitto, cercando di schivare i tranelli del buio ed orizzontandosi con la memoria visiva, nell'infinita, monotona distesa di alberi tutti uguali, quando, dalla profondità della notte, braccia invisibili l'afferrano, sollevandola, in un abbraccio violento a cui lei non oppone alcuna resistenza.
Guinèe. Mormora Orsola stesa sul letto di terra, coperta dal buio e dal corpo affamato che la sovrasta.
Guinèe. E la sua è una invocazione di resa totale all'uomo che reca quel nome e di cui altro non sa.
E non le importa sapere.
Forse un giorno anche lui ha posseduto un nome certificato, ma non sarà lei, che un cognome non l'ha mai avuto, a giudicarlo partendo da questo.

Non starò a menarla lunga su come si sono conosciuti perchè non è questo il punto, taglierebbe corto Madame Malia, non è l' incontro determinante ai fini della storia ma, piuttosto, l'addio.
E' sempre la fine che stabilisce l'inizio, mai viceversa, anche se noi siamo portati a credere l'inverso.
V'ingarbuglierebbe, Madame Malia, con questi ragionamenti astrusi a cui lei stessa è propensa a credere, raccontandovi questa storia con un incipit diverso da come l'ho iniziato io nel primo capitolo, perché per lei, invece, la storia di Orsola inizia da quella sera in cui ha spaccato sulla testa di Doc Garras la sua pesante sfera di cristallo per difendere la sua protetta dall'onta del frustino, regalandole l'affrancamento dalla schiavitù di ancella del sesso, a cui lei, per prima, l'ha sottomessa.
Particolare non secondario, ma che Madame Malia, da esperta imbonitrice, ometterà.
Il trauma cranico ha cancellato in Doc Garras la memoria ed il peccato, Orsola è finalmente libera, e lei è conclamata, a furor di popolo, benefattrice: la quadratura del cerchio!
La fine del capitolo secondo è l'inizio del capitolo terzo, così come il capitolo primo (che partiva dalla fine non ancora scritta del quarto) lo è stato per il secondo, ed il terzo lo sarà del quarto.
Questo è l'assioma incontrovertibile, e dimostrativo, dell'assennatezza di Madame Malia quando proclama che è sempre la fine a decretare l'inizio.
E a questo noi, d'ora in poi, scrupolosamente ci atterremo.

Lei ha solo un nome e lui un soprannome ( non dubita, Orsola, che "Guinèe" questo altro non sia), una maschera dietro cui nascondersi perché la verità non trapeli e non venga acclarata l'identità vera di un sovversivo francese, rocambolescamente evaso dall'inferno delle prigioni dell'Isola del Diavolo e provvisorio abitante della foresta di ceibe e di ebani che costeggia la città di Kourou, in attesa di un imbarco promesso verso il Venezuela.
L'ipotesi di un destino condiviso non è neppure da considerarsi, che nella fuga di lui, Orsola, sarebbe solo zavorra troppo visibile con quella sua rigogliosa esuberanza di seni e di glutei e di chiome.
E' nel destino di Guinèe la solitudine così come in quello di Orsola è l'accettazione.
Orsola Guineè... suona bene. Ha detto lui.
Sì, suona bene. Ha risposto lei.
Gli addii, talvolta, non paiono neppure tali.