Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

lunedì 30 novembre 2009

Frammenti

Un amico, a cui sono davvero molto legata, parlando del mio blog, senza mezzi termini ed in maniera diretta, (come l'amicizia più vera esige) mi ha detto che dai miei ultimi post trapela una immagine di me per lui inedita. Sconosciuta.
Che lo ha destabilizzato.
Se sei quella degli ultimi "Frammenti" non sono convinto di conoscerti davvero.
Ma perchè proprio gli ultimi "Frammenti"?
Gli ho chiesto.
Perchè ne parli in prima persona.
Perchè sembra tutto vero.
Perchè dai l'idea che tu sia così.
E' una scelta? Una strategia?
O è la verità?
Quella dei "Frammenti", gli ho risposto, non sono io. Ma sono anche io.
Ho trasmesso un pò della mia anima, e del mio odore, alla protagonista.
C'è sempre molto di me in tutto quello che scrivo.
Romanzato, spesso. Fasullo, mai.
La freddezza dei sentimenti......è un vuoto reale, del mio vissuto.
Un vuoto doloroso.
Retaggio di un passato di cui penso sia giusto non parlare. Perchè sto, ancora oggi, cercando di analizzare in maniera più obiettiva. Meno aggressiva.
Più distaccata.
Per merito delle esperienze acquisite.
E della maturazione personale.
Ma quel vuoto è stato realissimo e doloroso.
Me lo sono portato dietro per un lungo periodo della mia vita.
Quando scrivo: l'emozione dell'amore è quella che non ho mai provato, in questo caso faccio riferimento specifico al sentimento sublime per eccellenza e, nel contesto opportuno di quella storia. Di una donna che non sono io ma, con una porzione di verità che mi appartiene.
Il buio personale delle emozioni, è vero.
Nasce con me.
Tocca la sfera degli affetti famigliari e delle relazioni sociali.
E delle scelte di vita che, dopo, ne sono scaturite.
Il mio passato.
Il mio presente.
La donna che sono.
E quella non sono stata.
Quella che non potrò mai essere.
Quella che nelle mie storie ha tanti volti.
E tanti vestiti.
Ma sempre lo stesso colore di occhi.
Biografia. O racconto.
Cosa importa?
Dentro ci sono sempre io.
Marilena

sabato 28 novembre 2009

Il diritto di possesso

L'emozione dell'amore è quella che non ho mai provato.
Ma non recrimino per ciò che non ho avuto.
Poichè tante cose nella vita sono destinate a non accadere.
Solo la delusione di non aver potuto sperimentare tutta quella vasta gamma di sensazioni che l'amore pare sempre comporti.
Quei turbamenti, analizzati e studiati, nei comportamenti dei miei partner.
La cui infinita e sconosciuta varietà toccava loro, e non me.
Io potevo solo constatarne l'intensità e di quanto ancora potessi esasperarli.
E spingermi oltre.
Per creare dipendenza assoluta al collare.
Ed alla mia voce.
E' stupefacente quanto dolore si riesca a sopportare se questo reca le stigmate dell'amore.
Agognare l'inferno per trovare il paradiso.
Non volersene staccare.

"Conficca, se ti diletta, amor mio, ancora più profondamente le tue unghie nella mia carne.
E nella mia anima. Dilaniami.Fai pur di me ciò che vuoi.Ma ti supllico, non lasciarmi!"

Concessione di un diritto illimitato.
Ed assoluto.
Ma il dono incondizionato di se stessi snatura il diritto di possesso.
Che è conquista di corpo e di anima.
Assoggettamento della volontà.
Il diritto di possesso rifiuta complici rese.
Non è un dono.
Né contempla l'amore.
E' un duro collare.
Ed una corta catena.



martedì 24 novembre 2009

Profanazione

Mi sono svegliata e lui mi guardava. I suoi occhi erano vicinissimi al mio viso.
Prigioniera del suo sguardo.
La nausea mi ha serrato lo stomaco.
Per quanto tempo era rimasto nel buio a fissarmi?
Come mi aveva vista nell'arrendevole inconsapevolezza del sonno?
Mi sono sentita oltraggiata.
Ho urlato, respingendolo con violenza.
Mi sono ritrovata a correre in strada, sommariamente vestita.
Respiravo a fatica. Poi il freddo della notte mi ha calmata.
Ho ritrovato il ritmo del mio respiro. E quello dei miei passi.
A casa mi sono seduta sotto il getto tiepido della doccia.
Sono rimasta così, per un tempo infinito, ad annusare l'odore della mia pelle.
Quando tutta quella densa nebbia si sarebbe diradata mi sarei forse ritrovata.
E' stata quella, l'unica volta, in cui ho dormito con qualcuno.
E' stata quella, l'unica volta, in cui mi sono sventatamente concessa alla profanazione.

Anteprima

domenica 22 novembre 2009

L'amante bambina

IL MIO PRIMO AMANTE

Il mio primo amante l'ho avuto a 16 anni.
Era il mio professore di disegno.
Un uomo molto bello. E molto fragile.
Mediocre pittore ( inutilmente aveva tentato l'ambiente artistico) ed altrettanto mediocre insegnante.
Un uomo irrealizzato ma non rancoroso verso quel destino che non aveva saputo percorrere.
Comunque di buon grado rassegnato a diventare, col trascorrere del tempo, indolente e sempre più distante da quella che una volta era stata la sua passione.
Era un uomo fisicamente molto affascinante, e di questa sua dote se ne serviva per far colpo, ed ottenere favori, dalle ricche madri delle sue allieve.
Le signore erano estasiate dalla sua presenza e sempre pronte a soddisfare ogni richiesta del professore così somigliante ad una rock star.
E lui usufruiva, senza farsi troppo pregare, di tutto ciò che spontaneamente gli veniva elargito.
Conquistare le donne gli riusciva facile.
Ironico e brillante, sapeva irretire con una intelligenza pronta ed intuitiva.
Aveva successo anche con le studentesse che scrivevano di lui nei diari e raramente mancavano alle sue lezioni.
Mai, però, aveva tentato approcci verso qualcuna di loro consapevole dei rischi che questo avrebbe comportato, contentandosi delle loro madri che generosamente premiavano le sue attenzioni.


IO
Non ho mai avuto talento per il disegno e la pittura.
Non ho la pazienza né la manualità necessarie per creare.
Non ho mai nutrito alcuna passione per questa arte, e non mi è mai importato nemmeno far finta d'interessarmi alle sue lezioni.
E d'altronde, come ho già detto, lui era davvero un insegnante mediocre.
Non profondeva alcuna passione verso la sua materia. Né la esigeva.
Al pari di me se ne estraniava.
Apparentemente indifferente al fascino delle altre allieve, avevo però colto, spesso, il suo sguardo su di me.
Uno sguardo subito distolto appena davo segno di avvedermene.
Quel gioco di sguardi riempiva la lentezza e la noia di quelle ore.
Quell'uomo così popolare, ambito dalle donne adulte, che mi guardava di nascosto per non essere colto in flagranza di peccato, m'incuriosiva.
Mi affascinava.
Gratificandomi di un piacere sconosciuto. Umido.
Leggevo nei suoi occhi la richiesta esplicita che reclamava il mio grembo ancora di bambina.
Quel grembo che sotto i suoi sguardi e nella costrizione dei jeans illanguidiva nel piacere bagnato di una donna.


UNA RELAZIONE PERICOLOSA
Cambiai di banco e passai nel primo. Smisi i jeans e iniziai ad indossare le gonne.
Sotto il banco accavallavo le gambe stringendo le cosce, o le divaricavo, in modo che lui vedesse la mia intima oscurità.
I nostri sguardi s' agganciavano. Gli sorridevo, e solo allora lui, colto in fallo a spiarmi, distoglieva i suoi occhi da me. Evitava di chiamarmi alla cattedra per timore che nel pronunciare il mio nome la sua voce tradisse il desiderio. I miei voti erano ottimi nonostante non producessi nulla di artistico, e questo destò perplessità fra le mie compagne, malumore nella compagine del fan club delle madri, e suscitò qualche illazione di troppo nel corpo insegnante.


Per un paio di settimane non venne a scuola, così andai a cercarlo a casa sua. Quando aprì la porta rimase per un attimo sorpreso e poi brutalmente, senza parlare, mi trascinò nella sua camera da letto. Facemmo l'amore senza neppure toglierci i vestiti tanto il desiderio bruciava i nostri sensi.
Io non avevo mai fatto sesso con nessun altro: fu quella la mia prima volta e lui il mio primo uomo.
Fu al medesimo tempo divino e bestiale. Il mio nome, che per tutto quel tempo s'era imposto di non pronunciare, gli fioriva sulla bocca come bava di lupo. A volte era rantolo. Altre bestemmia. Altre ancora supplica. Mi fece male. Gli feci male. Gli restituivo la brutalità e la dolcezza con lo stesso impeto con cui me le impartiva. Non personalizzavo e neppure improvvisavo. Ero lì per imparare, e lui, in questa materia, si rivelò essere un magnifico insegnante.
Saltavo spesso le sue lezioni a scuola ma mai un nostro appuntamento. Parlavamo poco, entrambi consapevoli del divario degli anni e dei reciproci interessi: l'unica affinità che ci legava era quella del sesso, e consapevolmente a questa ci attenevamo.
Sesso pomeridiano, da cui erano bandite le albe e i tramonti, e tutta la paccottiglia romantica che ne deriva. Pomeriggi ardenti, burrascosi, primitivi. Pomeriggi nudi. Di niente altro avevamo bisogno.


In classe continuammo nel nostro schema usuale, tranne il fatto che avevo smesso di provocarlo.
I miei voti, dei quali in realtà non m'importava nulla, avevano subito una discreta flessione in discesa, il risultato di un paio di striminzite interrogazioni da cui era emersa tutta la mia ignoranza, ed indifferenza, verso le belle arti. Questo ridimensionamento delle sue valutazioni nei miei riguardi aveva anche lo scopo di far cessare le chiacchiere della sua predilezione per me per i  motivi ben facili da supporre. Ma di queste illazioni a me importava davvero poco: non avevo mai legato con le altre studentesse e mia madre non era nel fan club delle ammiratrici del professore. Queste ultime, però, non avevano perdonato il cambio di stile del loro idolo che aveva smesso di flirtare con loro e all'uscita di scuola tirava dritto verso la sua macchina.
Poi, una mattina, sul muro della scuola apparve una scritta infamante chiaramente diretta a lui.
I bidelli la cancellarono, ma dopo un paio di giorni rifiorì, ancora più velenosa, sullo stesso muro.

Smettemmo di vederci, ma io continuai a frequentare le sue lezioni allo scopo di screditare quelle accuse che non coinvolgevano direttamente me, ancora minorenne, ma solo lui. I detrattori avevano strategicamente pensato che tirarmi in ballo li avrebbe solo rallentati nel loro scopo, consapevoli che sarebbe bastata la semplice accusa di pedofilia a gettare fango sul professore, anche in assenza di prove.
Venne istituito dalla preside un sommario processo interno con il verdetto già stabilito delle sue dimissioni. A nessuno importava appurare se quell'accusa corrispondeva al vero, e d'altronde il professore stesso firmò le dimissioni senza discutere. Il giorno stesso lasciò la città.
Quell'atto venne considerato da tutti un'ammissione di colpevolezza.
Ripercussioni su di me non ce ne furono, ma smisi di frequentare quella scuola perché non ho mai avuto talento per il disegno e la pittura. E ancor meno per l'ipocrisia.


venerdì 20 novembre 2009

Alruna



Anteprima


Alruna
Il mio nome gli fiorisce sulle labbra, come bava di lupo.

Ma sono le sue unghie macchiate di azzurro, come smalto di vampiro, ad affascinarmi.
Catturata dal volo azzurro di quelle dita che mi premono sulle labbra.
Si perdono nei miei capelli.
Mi bruciano la pelle sotto il vestito.
Carezze ruvide.
Impazienti, smarriscono la tenerezza.
Sono artigli che infrangono.
Penetrano.
Esigono.

Alruna.
Il mio nome, senza voce, ripetuto dalle sue labbra.

giovedì 19 novembre 2009

Corpo sensorio

Non cado in estasi davanti ad un tramonto.
O ad un bel paesaggio.
La natura mi annoia.
Non provo curiosità eccessive verso la geografia del mondo esterno.
Ho scarsissimo senso olfattivo, per cui percepisco poco gli odori. E i profumi.
E' il tatto, il mio senso più sviluppato.
Tutto quello che capto attraverso la pelle mi inebria. Mi colma.
O mi fa disperare.
Il mio corpo, tutto, è una sensibilissima struttura ricettiva. Ed esplorativa.
Il contatto diretto, e profondamente intimo, con le cose me ne dà la vera dimensione.
La pelle non inganna.
Tutti gli altri sensi, invece, sono illusori.
Se osservo un fiore sono subito attratta dal suo colore, anziche dal suo profumo.
O dalla sua consistenza.
Prima ancora di ogni altra percezione c'è quella della vista (il più ingannevole dei sensi)
Ma se quel fiore lo strofino su una qualsiasi parte di me, ecco che lo percepisco nella sua assoluta interezza.
 La ruvidità delle foglie. L'acutezza delle spine. La flessuosità dello stelo. La morbidezza dei petali.
Il suo profumo s'intrufola nei miei pori.
Se ne abbevera la mia pelle.
Si amalgama con l'odore personale del mio corpo esterno.
S'infiltra, e contamina, quello del mio corpo interno.
Il colore diventa vibrazione.
Onda sonora.
Mi lascio travolgere dalla solennità orchestrale di un rosso.
Dalla delicata armonia country di un rosa.
O dallo stupefacente preludio di un viola.
Non più solo forma. O profumo.
O colore.
Ma corpo sensorio.
Con labbra. Ed occhi. E lingua.
Quel fiore, strofinato sulla mia pelle, è assolutamente vivo nella totale complessità della sua essenza.
Marilena



martedì 17 novembre 2009

Il cuore di una bambina

Hai accesso ad ogni anfratto di me.
Tutto ti appartiene e ne puoi disporre per il tuo piacere.
Senza chiedere. E' tuo.
Solo il seno. Quello no, non puoi averlo.
Provocatoriamente nudo o pudicamente fasciato, appartiene a me sola.
Negato alla tua bocca. E alle tue dita.
E' il mio luogo sacro.
Inviolabile.
Ma tu, allora, aspirerai solo a quello.
E, tra di noi, s'innescherà un gioco perverso.
Di supplica. E di negazione.
Ed il seno diventerà il graal vagheggiato.
Implorato.
Negato.
E tu, crederai, per prepotenza.
Arroganza.
Capriccio di donna.
Ignorando che dentro quel seno pulsa il cuore di una bambina.

Anteprima

venerdì 13 novembre 2009

L'abito rosso


                                                 
E così ho deciso di venire alla festa, per vedere quella che mi ha rubato l'amore.
Quella per cui la notte smani, e nel sonno ne mormori il nome.
Sfoggio il vestito più bello.
Quello riposto in fondo all'armadio.
Quello che mai più ho indossato.
E' rosso e di finissima seta.
E' un guanto che mi fascia e mi stringe.
E' un abbraccio, quell'abito rosso.
L'incanto, che ti ha irretito.
Quando mi hai detto, con voce tremante, la mia voglia ha il colore del tuo vestito.
Altra festa.
Altra donna.
Altro uomo.
Ma l'abito, quello, è sempre lo stesso.
Nemmeno di una taglia tradito.
Come mai ho tradito l'amore.
Mentre tu, nelle tue notti inquiete, agitandoti invochi un nome.
Sognando l'incanto di un vestito che non mi appartiene.
E così, sono qui alla festa.
I capelli splendenti di nuovi riflessi.
Ed il trucco pesante. Trucco da sera.
E sotto l'abito, niente.
Abito ardente. Punto di luce.
Prorompente, tra il nero e l'oro, di quelli delle altre signore.
Ma tu nemmeno mi vedi.
I tuoi occhi cercano altri colori.
E sento freddo, attraverso la seta.
Perché il rosso, alla fine, è solo un colore.
E non scalda il gelo che si allarga nel cuore.
Non vedi la festa. Non senti il rumore.
Attendi impaziente.
Ed il calice in mano è solo un pretesto.
Per colmare l'attesa. E darti un contegno.
Per fingere calma. Ma nel cuore è tempesta.
Non vedi la folla. Né la donna vestita di rosso.
Fissi la porta. In silenzio. In attesa.
Ed io, infondo alla sala, ho la testa in tumulto.
Ma tu non lo sai.
Non mi hai vista nemmeno quando, passandoti accanto, ti ho urtato il bicchiere.
Chiedendoti scusa.
Un sorriso accennato. Un inchino leggero.
Niente altro.
Se non quello sguardo, ostinato, alla porta.
Così vorrei urlare e strapparti via il cuore.
E rendere fiamma questo vestito.
E bruciare la sala.
La festa. Il rumore.
Sbarrare la porta.
Gridare il mio male di donna ferita.
E guardami. E dimmi chi sono.
Pronuncia il mio nome.
Riconosci il vestito.
Se non il mio odore.


domenica 8 novembre 2009

Tragica Eroina

Lo specchio, impietoso, rimanda la mia immagine mattutina.
L'aria, pesta ed assonnata, che neppure l'ennesimo caffè riesce a ravvivare.
E, tra le labbra, la prima sigaretta del giorno. Quella che non dovrei fumare.
Esigenza psicologica. Necessità recitativa.
Anche se non c'è un pubblico a guardare.
Nessuno da irretire, con la bravura del mio genio interpretativo.
Nessun testimone. E nessuna testimonianza.
Sta di fatto che piove. Ed il mio umore è tetro.
Immagino la voce possente di un baritono, che sovrasta il tuono.
Si espande, potente e piena, su un mondo alluvionato.
Una lirica drammatica.
Un rimbombo da teatro.
I figuranti in abiti chiari, ed io sola, vestita di nero.
Avanzo verso alla macchina da presa, con una mano premuta sul cuore.
E l'altra, protesa, verso un fatale destino.
Con passo studiato. Attenta agli inciampi.
Che il dramma non tramuti in farsa.
Di rossetto dipingo la bocca.
Col rosso più intenso. Per essere bella.
E, la seconda sigaretta, ha un gusto diverso, serrata tra labbra color di geranio.
Nell'ombra dei capelli sfuma la pesantezza degli occhi.
Pennellate di rimmel e nebuloso kajal. Espedienti da mestierante di talento.
Per accentuare, invece che nascondere, le occhiaie scure di una notte insonne.
Drammatica mascherina introspettiva.
Il mondo esterno si adegua alla recita solitaria, in una penombra mattutina.
La terza sigaretta l'accendo con mani guantate di nero merletto.
La macchina da presa indugia sulle dita di pizzo, che recano la sigaretta alla bocca.
Splendente di umido rosso. Sensuale contrasto, col pallore del collo e del mento.
Un punto di luce, la piccola brace che si dissolve in filo di fumo.
La perfezione è in questo ritaglio di specchio.
In quest'unico fotogramma, semmai fosse, su pellicola impresso.
Mentre fuori, un impenetrabile sipario d'acqua preclude questa stanza al resto del mondo.
Nessun testimone. E nessuna testimonianza.
Avanzo verso la macchina da presa, con una mano premuta sul cuore.
E l'altra, protesa, verso il fatale destino.
Con passo studiato. Attenta agli inciampi.
Che il dramma non tramuti in farsa.
Che i tacchi folli, sui quali cammino, non mi tradiscano nell'ultima scena.
Marilena

mercoledì 4 novembre 2009

A Camilla

Col suo passo da soldato, Camilla, ha fatto irruzione nella quiete della mia posta con decise rimostranze sull'uso indebito del suo nome, col quale ho gratificato "lo spettro".
Così, la rabbia di Camilla, l'imperatrice, ha declassato la mia doppelganger.
Eh si che avevo già parlato della mia gemella alchemica, Camilla(Cam o Camille) in un post precedente.
Ma deve esserle sfuggito.
Ovviamente, Camilla, non si chiama realmente così, ma è il suo secondo nome, di cui anche i familiari più stretti ne hanno perso memoria.
Nei miei post, quando mi capita di parlare di persone reali, evito sempre un loro coinvolgimento diretto e, qual'ora dovesse accadere, mi sono sempre riproposta di chiedere il permesso.
Seppur riconosco di aver solo parzialmente rispettato questa regola con Camilla.
Derogando dall'etica, a cui sempre scrupolosamente mi attengo, raccontai di lei in un post, facendo attenzione a non inserirci troppi elementi identificativi.
Perchè l'Imperatrice spicca, per fisicità e stile, su tutta quella parte di mondo alla mia portata.
Una stupenda diversificazione.
Una tentazione letteraria a cui non ho saputo resistere.
Che pur da parte sua, dopo, ha ricevuto approvazione e consenso.
Camilla sa del mio affetto. E mi spiace che sia ora caduta nell'inganno di un nome.
Quello che a me sembrava, foneticamente, il più appropriato per la mia identità spettrale, per la sua facilità abbreviativa (Cam) e per l'opportunità che, tramite un semplice cambio della vocale finale (Camilla diventa Camille) avrei potuto ricavarne un francesismo.
Un nome duttile, che potesse modificarsi, senza stravolgersi, per sottolineare le capacità trasformative della mia gemella mutaforma.
Camilla (Cam o Camille) si è imposto da sè. Dolce e musicale.
In perfetta contrapposizione alla natura borderline della mia doppelganger.
Non c'era quindi nessun'altra volontà dietro questa scelta.
Con la meravigliosa Imperatrice ho comunque chiarito ogni equivoco.
Ci siamo, alla fine, vicendevolmente scusate.
Ho chiesto, ed ottenuto, l'autorizzazione a pubblicare questo post dal momento che, e lo dico con un sorriso, nella vita ordinaria della gente comune accadono ben poche cose di una certa rilevanza, degne di essere raccontate.
L'amicizia è tra queste.

martedì 3 novembre 2009

Auto - assemblaggio molecolare

AMARANTA
(l'alter ego)
Amaranta è la bellezza.
E' bella nel modo in cui io vorrei essere.
E' seducente. E conscia di esserlo.
Spesso in maniera provocatoria.
Sempre assolutamente scenica.
Sa usare la voce e le parole.
Conosce la profondità dei silenzi.
La meccanica delle pause.
Professionista delle amnesie.
Adora i paradossi.
Ed il linguaggio muto delle dita.
Magistralmente riesce ad ingarbugliare l'animo.
E la mente.

ALICE
(l'adolescente)
Alice è l'adolescenza.
La ragazzina solitaria, dagli occhi verdi e i capelli bruni.
Sguardo interrogativo in uno specchio.
In attesa.
Se solo quell'attesa fosse stata per un qualsiasi fine motivata avrebbe potuto, nel corso degli anni, maturare in una possente Penelope, invece è rimasta la figurina spaurita in un libro di fiabe. Immobile.
Davanti ad uno specchio.
Aspettando l'apertura di un varco per addentrarsi nel mondo.
Eppure ha il dono di penetrare le porte di pietra.
E la materia.
Ma lo ignora.
Così è rimasta rovinosamente intrappolata nei sofismi ingannatori di una fiaba.
Al di là dello specchio.
Per sempre giovane.
Condannata a vivere in un mondo onirico.
Psicopatologico.

CAMILLA (CAM o CAMILLE)
(la doppelganger)
Camilla (Cam o Camille) è la mia oscura gemella mutaforma.
La mia immagine spettrale.
Proiezione psicologica.
Non ha ombra. Nè riflesso.
Mi sublima in un gioco di sembianze.
Per confondermi.
E confondere il mondo.
Istigatrice del pensiero parossistico.
Manipolatrice. Sofista. Teoreta.
Paradosso temporale.
Creatura alchemica.
Strega.

ALRUNA
(la femmina)
Alruna è la sessualità
E' la creatura anfibia che dimora nelle cavità remote del mio ventre.
Tra le caverne mestruali e le polle amniotiche.
E gli umidi anfratti vaginali.
Alruna è impudica e dilagante.
Ha trasparenza di medusa ed occhi persuasivi.
E labbra sessuali.
E' la sublime metamorfosi di donna in femmina.

KINDRED
(il vampiro)
Kindred è il mio buio
Di lei non parlo

MARILENA
(auto-assemblaggio molecolare)